Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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sabato 7 aprile 2018

I COMUNISTI E POTERE AL POPOLO


di Luca Cangemi per Marx21.it
stralcio dal contributo del compagno Luca Cangemi, della segret. naz. PCI, alla discussione aperta in Marx21.it sul risultato delle elezioni del 4 marzo scorso.

I comunisti debbono assumere il processo di Potere al Popolo come una possibilità di iniziativa comune della sinistra di classe, nell’autonomia politica ed organizzativa delle diverse forze. Un'analisi della differenza con le esperienze dell'Arcobaleno e di Rivoluzione Civile

Io trovo non solo ingenerosi ma privi di fondamento alcuni ragionamenti che si fanno sul risultato di Potere al Popolo. In particolare l’accostamento alle esperienze compiute dalle maggiori forze comuniste (PRC e PdCI) nelle precedenti elezioni politiche del 2008 e del 2013, Arcobaleno e Rivoluzione Civile, sono chiaramente sbagliate. L’Arcobaleno raggruppava forze che disponevano di potenti gruppi parlamentari, di strutture e di risorse e Rivoluzione civile vedeva tra le sue fila un partito (difficilmente definibile di sinistra) come Italia dei Valori, anch’esso presente in parlamento e dotato di risorse, ampiamente impiegate in campagna elettorale. Se si tengono presenti queste elementari considerazioni un confronto va tutto a vantaggio del (piccolo) risultato di Potere al Popolo. Ma soprattutto va a vantaggio di Potere al Popolo l’analisi del profilo politico e programmatico che, sia pure lontano dalla perfezione, è assai più dignitoso di quelle esperienze. E, aggiungerei, assai migliore di quello della “lista Tsipras”.
Più seria mi sembra la critica di eterogeneità e limiti nelle culture politiche che hanno dato vita all’esperienza di Potere al Popolo, e che in essa sembrano prevalere. Ma questa più che una critica a Potere al Popolo è una critica (giusta e necessaria) al panorama della sinistra di classe nel nostro paese e, volendo esser sinceri, è ancor di più un’autocritica dei comunisti, sulla nostra azione e sulla nostra efficacia. Noto solo che si scelgono (positivamente) due parole Potere e Popolo aspramente vilipese dalla vulgata negriana come d’altra parte, certo, alcune motivazioni del rifiuto della proposta del PCI di inserire falce e martello nel simbolo hanno un indubbio sapore di nuovismo subalterno.
Il punto però vero da discutere mi sembra un altro ed è un punto politico decisivo di fase. È necessario un campo di forze dentro il quale si sviluppi l’iniziativa dei comunisti? E se sì qual è il perimetro che esso deve avere? E come deve essere organizzato questo campo?
Nella pratica politica delle maggior parte delle forze comuniste del mondo questo nodo mi sembra oggi risolto, tanto dove esse sono le forze maggiori di aggregazioni più ampie (Portogallo, India) quanto dove da posizioni di minoranza portano contributi importanti a fronti politico-sociali variegati (Brasile ed altre esperienze latinoamericane) ed anche in situazioni intermedie più complesse (Sudafrica, Spagna).
La costruzione di un campo di forze alternative, diverse per cultura politica e forma organizzata, ma unificate da una piattaforma e capaci di costruire mobilitazione non episodica è una necessità, che attiene non solo ad un minimo di efficacia nell’azione politica quotidiana ma anche alle stesse modalità della ricostruzione di una significativa presenza comunista.
Non possiamo prescindere dalla situazione che ci consegna la fase mondiale post ’89 e la nostra specifica storia nazionale che ha visto prima la crisi e la liquidazione del più grande Partito Comunista d’occidente e poi, nell’ultimo decennio, la marginalizzazione assoluta delle forze che, in qualche modo, a quella liquidazione avevano provato a resistere.
Non si può immaginare una ricostruzione separata e attendista di una forza comunista, che al contrario può rinascere solo nel vivo di un impegno politico quotidiano nel confronto dialettico con ogni soggettività critica. Solo in questo confronto, solo in questo lavoro politico, culturale e organizzativo possiamo provare a trovare le forze che siano in grado di farsi carico della ricostruzione comunista.

In quest’ottica io credo che l’esperienza di Potere al Popolo possa essere un quadro di riferimento importante. Per tre ragioni fondamentali:
1) Essa nasce libera da una serie di ipoteche di collocazione politica che avevano estenuato le forze a sinistra del PD (e più o meno direttamente anche le maggiori forze comuniste). La scelta di piantare una bandiera sulle macerie del Brancaccio segna oltre che una tempestività tattica (qualità non disprezzabile) la volontà di segnare un discrimine necessario.
2) Vi è, al di la di alcuni problemi di linguaggio, una scelta di classe e di centralità della dimensione sociale rispetto a quella civile che è un requisito fondamentale.
3) Emerge una componente giovanile, non giovanilistica, che ha di sé una immagine militante. È questo un elemento nuovo e necessario.
L’invito a valutare le potenzialità dell’esperienza di Potere al Popolo non significa certo avere un atteggiamento acritico. I comunisti debbono assumere questo processo come una possibilità di iniziativa politica, come il terreno (in questo momento oggettivamente il terreno principale) di una loro azione unitaria ma anche come terreno di aperto confronto politico.

I nodi da sciogliere sono numerosi e complessi, ne cito solo alcuni:

1) Va costruita una scelta prioritaria (nella pratica politica e non solo nelle enunciazioni) di impegno contro la guerra. Questa scelta porta con sé una discussione non facile di analisi (concreta) della scena internazionale e apre, inevitabilmente, contraddizioni con idee che si sono sedimentate in larghe parti della sinistra (spesso anche per grave deficit di conoscenze).
2) È particolarmente urgente definire una posizione chiara e mobilitante (ancora lontana) sull’Unione Europea. Una posizione che rappresenta un elemento essenziale della fase politica, anche in vista delle elezioni del Parlamento Europeo.
3) L’identità di classe va declinata in un ragionamento più articolato sulle forme di organizzazione ed intervento. In particolare evitando semplificazioni sul Sindacato e avviando esperienze di unificazione politica delle lotte.
4) È necessario costruire un’analisi e una proposta politica sulla fase successiva al 4 marzo, superando un atteggiamento propagandistico.
5) Va esplicitamente sconfitta ogni tentazione di trasformare Potere al Popolo in un partito. Va invece riconosciuta l’autonomia politica ed organizzativa delle diverse forze e costruita con pazienza e responsabilità una capacità d’iniziativa e di approfondimento comune, valorizzando le diverse pratiche e puntando a mediazioni alte sulle questioni politiche decisive.

Tutto il ragionamento fin qui sviluppato pone seri problemi di riflessione autocritica e di prospettiva rispetto all’esperienza che abbiamo condotto negli ultimi anni, nel tentativo di ricostruire una forza comunista. Di questo dovremo parlare nei prossimi mesi.

fonte e articolo integrale in



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