LE TRACCE IN ELENCO non sono più IN ELENCO
Il Gramsci della Spivak, stretto tra la ‘forclusione’
lacaniana e l’’informante nativo’, è decostruito nel linguaggio
Antonio Gramsci:
- Criticare
la propria concezione del mondo significa dunque renderla unitaria e coerente e
innalzarla fino al punto cui è giunto il pensiero mondiale piú progredito.
Significa quindi anche criticare tutta la filosofia finora esistita, in quanto
essa ha lasciato stratificazioni consolidate nella filosofia popolare. L’inizio
dell’elaborazione critica è la coscienza di quello che è realmente, cioè un
«conosci te stesso» come prodotto del processo storico finora svoltosi che ha
lasciato in te stesso un’infinità di tracce accolte senza beneficio
d’inventario. Occorre fare inizialmente un tale inventario. - (Quaderno 11
par.12, ed. Gerratana, Einaudi, 1975, pag.1376). -
- § ⟨2⟩. Criteri
metodologici. La storia dei gruppi sociali subalterni è necessariamente disgregata
ed episodica. È indubbio che nell’attività storica di questi gruppi c’è la
tendenza all’unificazione sia pure su piani provvisori, ma questa tendenza è
continuamente spezzata dall’iniziativa dei gruppi dominanti, e pertanto può
essere dimostrata solo a ciclo storico compiuto, se esso si conchiude con un
successo. I gruppi subalterni subiscono sempre l’iniziativa dei gruppi
dominanti, anche quando si ribellano e insorgono: solo la vittoria «permanente»
spezza, e non immediatamente, la subordinazione. In realtà, anche quando paiono
trionfanti, i gruppi subalterni sono solo in istato di difesa allarmata (questa
verità si può dimostrare con la storia della Rivoluzione francese fino al 1830
almeno). Ogni traccia di iniziativa autonoma da parte dei gruppi subalterni
dovrebbe perciò essere di valore inestimabile per lo storico integrale; da ciò
risulta che una tale storia non può essere trattata che per monografie e che
ogni monografia domanda un cumulo molto grande di materiali spesso difficili da
raccogliere.
(Quaderno
25, ed. Gerratana, pp.2283/2284). -
Gayatri Chakravorty Spivak:
/ “Mentre il
Nord continua apparentemente ad «aiutare» il Sud – così come in precedenza
l’imperialismo «civilizzava» il Nuovo Mondo –, l’apporto cruciale del Sud nel
sostenere lo stile di vita del Nord, famelico di risorse, è forcluso per
sempre. Nei pori di questo libro indicherò che il modello dell’informante
nativo attualmente forcluso sia la più povera donna del Sud. Ma il periodo e i
testi da noi presi in considerazione in questo capitolo produrranno, per citare
la straordinaria intuizione di Gramsci, l’informante/i nativo/i come un luogo
di tracce non in elenco” (G.Spivak, Critica della ragione postcoloniale - Verso
una storia del presente in dissolvenza, Meltemi, 2004, p. 32 - ed.originale: A
Critique of Postcolonial Reason, Harvard University Press, 1999). /
La critica:
- E a
proposito di egemonia, che dire della citazione di Gramsci con cui si chiude il
passo citato? Il lettore italiano, dopo aver attraversato con una certa fatica
pagine tanto ostili (l’autrice scrive come se le desse fastidio avere un
lettore, come nella tradizione derridiana da cui proviene, del resto), pensa di
trovarsi finalmente in un porto sicuro. Solo che, dopo averci un po’ pensato,
viene il dubbio su dove si trovi in Gramsci questa cosa dell’informatore nativo
come un luogo di tracce non in elenco (oltre che su cosa significhi un «luogo
di tracce non in elenco», site of unlisted traces). Sfoglia e risfoglia i
Quaderni, non si trova niente del genere. Nel libro di Spivak il riferimento
torna molto più avanti, in una lunga nota dedicata alla costruzione di una
episteme di genere: «è qualcosa di paragonabile all’“inventario senza tracce”
di Gramsci» (Spivak 2004, p. 297; Gramsci’s «inventory without traces», Spivak
1999, pp. 285-6). Il testo qui rimanda alla Selection
from the Prison Notebooks pubblicata nel 1971 da Q. Hoare e G. Nowell
Smith; l’edizione italiana rimanda invece all’edizione Gerratana dei Quaderni,
individuando la fonte reale della citazione. Si tratta del Quaderno 11, e in
particolare del passo in cui Gramsci invita a praticare un «conosci te stesso»
inteso come coscienza delle tracce lasciate in ciascuno di noi dalla storia
specifica dei gruppi sociali cui si appartiene: consapevolezza, dunque, del Sé
come «prodotto del processo storico finora svoltosi che ha lasciato in te
stesso un’infinità di tracce accolte senza beneficio d’inventario. Occorre fare
inizialmente un tale inventario» (Gramsci 1975, p. 1376). Spivak coglie bene
uno degli spunti gramsciani che più si avvicina a una teoria della soggettività
subalterna. Ma entrambe le sue espressioni sono fuorvianti: site of unlisted
traces è una sua parafrasi, e inventory without traces, virgolettato e con il
riferimento bibliografico, non cita in realtà la traduzione letterale e
corretta di Hoare e Nowell Smith ma ne inverte il senso (Gramsci parla di
tracce senza inventario e non di un inventario senza tracce, che è un
nonsense). Ma soprattutto, sfugge il nesso di tutto ciò con la forclusione. Che
Gramsci (col suo storicismo inflessibile e la sua scrittura limpida e rigorosa)
sia stato assunto come una sorta di antenato totemico della Theory è una di
quelle ironie della storia che attiravano ogni tanto l’attenzione del pensatore
sardo. -
da Fabio
Dei, Di Stato si muore? Per una critica
dell’antropologia critica, sta in STATO, VIOLENZA, LIBERTÀ - La «critica
del potere» e l’antropologia contemporanea a cura di Fabio Dei e Caterina Di
Pasquale, Donzelli, 2017 ed.digitale, s.i.p. [note espunte].
/ Subaltern
studies Italia /
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