Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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martedì 16 luglio 2024

IL CONVEGNO DI COSTA FERRATA (PECORILE) - luglio.agosto 1970 nelle fonti dirette

 

transizione dalla teoria alla pratica dell'insorgenza armata in Italia

fonte diretta Tonino Paroli - scrittura di Giovanni Bianconi

 

L'appuntamento - organizzato da gente che ama il vino e la buona cucina, e che proprio di fronte ai bicchieri di rosso ha ascoltato i primi discorsi politici e costruito le sue teorie - è fissato per luglio presso la locanda Da Gianni, a Costa Ferrata, un piccolo centro ai piedi dell'Appennino poco fuori Reggio Emilia, gestita da un conoscente di Paroli.  Da Gianni si mangia e si può anche dormire nelle stanze attrezzate al piano di sopra, e il salone utilizzato di solito per battesimi e matrimoni può tranquillamente ospitare l'assemblea del centinaio di militanti arrivati da Milano, da Trento, da Roma e da altre città.

A pochi chilometri dal grappolo di case allineate lungo la Provinciale, che non compare nemmeno sulla carta topografica, l'unica insegna stradale avvisa che ci si trova a Pecorile, il paese prima venendo da Reggio. Dopo, non ci sono più cartelli. E allora, per chi giunge da fuori, il convegno si tiene a Pecorile.

L'ospite è stato avvisato che si tratta di un incontro tra studenti ed operai, e non sospetta che tra loro qualcuno già favoleggia di lotta armata e clandestinità. Del resto in quel periodo è abbastanza normale che i giovani trascorrano le loro giornate a discutere di politica, anzichè solo di donne e motori.

Per dormire, i "convegnisti" si arrangiano nelle stanze della locanda e nei posti rimediati qua e là dai compagni di Reggio, anche presso le famiglie del luogo che per poche lire sono ben liete di mettere qualche letto a disposizione di ragazzi e ragazze arrivati con gli zaini e i sacchi a pelo.

Per mangiare e bere non ci sono difficoltà. La cucina è quasi sempre in funzione, e per tre intere giornate e serate, nel lungo salone abituato a lauti banchetti e danze parentali si dibatte di politica mentre i camerieri del ristorante vanno e vengono senza dare peso alle relazioni e agli interventi che si susseguono al tavolo principale.

Nella sua relazione introduttiva, il "compagno della Pirelli" Renato Curcio espone la necessità di organizzare ancora meglio i servizi d'ordine in "nuclei capaci di intervenire nelle varie città, laddove lo scontro richiedesse una presenza dura". Non ancora con le armi da fuoco, ma con i mezzi della guerriglia urbana tradizionale: bastoni, molotov, bulloni.

Al di là dei discorsi ufficiali, nei capannelli e nelle riunioni "volanti" cominciano però a circolare nuove ipotesi, più radicali e decise: "Unire la prassi politica con quella della guerra di lunga durata contro lo Stato e le strutture che fanno da freno alle istanze degli operai e del proletariato, che dovrà necessariamente passare per una fase anche violenta". A farsi carico di questa necessità, si teorizza, dev'essere un'avanguardia che avrà il compito di gettare le basi della "guerra civile",  a cominciare dalle grandi metropoli dove si annidano le fabbriche, il cuore della rivolta.

"E' lì la nostra giungla, il nostro Vietnam", pensa e dice Tonino, che non perde una battuta del dibattito innaffiato di progetti e di Lambrusco.

Dagli interventi pubblici e meno pubblici emergono tre anime all'interno del convegno. La prima, più "movimentista", privilegia lo scontro di massa su larga scala , tutto interno al movimento e senza una guida organizzata; la seconda, sponsorizzata da Curcio, ipotizza un graduale passaggio alla resistenza armata a partire dalle fabbriche, attraverso nuclei ristretti ma sempre collegati con la massa e le "realtà di base"; la terza prevede un'ulteriore, immediata militarizzazione dei gruppi che prelude alla clandestinità, anche rompendo i rapporti col movimento.

Alla fine del convegno, fra baci, abbracci e pugni chiusi, i partecipanti si lasciano senza aver deciso nulla di concreto, ma Tonino e una parte dei compagni di Reggio scelgono di rimanere in contatto con Curcio e gli altri della "seconda posizione".  Senza recidere però i legami con la terza, sostenuta da alcuni milanesi che fanno capo a Corrado Simioni, un ex socialista che aveva dato vita a un nuovo Collettivo di operai e studenti e che con le sue teorie avrebbe fondato, sulle ceneri di Sinistra Proletaria, un gruppo chiamato Superclan.

da Giovanni Bianconi, Mi dichiaro prigioniero politico -Storie delle Brigate Rosse, Einaudi, 2003. pp.16-18.

Giovanni Bianconi (1960) è giornalista del Corriere della Sera



La Stampa, 24 ottobre 1991 - di Vincenzo Tessandori



Uno dei testi, secondo la testimonianza di Paroli, più letti e consultati ai tempi del convegno di Costa Ferrata (luglio_agosto 1970)



Il ristorante ‘da Gianni’ oggi a Costa Ferrata (RE)


Presentazione:

 

PROLETARI “CON” RIVOLUZIONE - ‘ali’ di piombo in occidente

 


a cura di Subaltern studies Italia







martedì 2 luglio 2024

I sogni non possono comprare il tempo - la peggio gioventù di Morucci

 

Adriana Faranda e Valerio Morucci

Valerio Morucci - Ritratto di un terrorista da giovane - Piemme, 1999

I sogni non possono comprare il tempo. Solo vivere per il battito di ciglia che gli è concesso. (..) Agire per conquistare il mondo, l’universo. Si sapeva. Si è sempre saputo. Ma non serve a niente sapere.

Valerio Morucci, Ritratto di un terrorista da giovane, Piemme, 1999

Un tentativo per riavere indietro i colori di un mosaico ricoperto dal grigio bitume del rimpianto. La contraddittoria verità della gioia e delle lacrime. Della ragione e della passione. Soprattutto della passione. Ciò che cercavo era il senno di prima. Il ragazzo che era trent’anni fa e di cui avevo dimenticato l’irriverente sorriso e la rettilinea confusione. Non volevo lenire il dolore dello smarrimento ma, semmai, liberarmi della zavorra del presente per andare a ritrovare l’esultanza dell’esserci. La sua realtà e la sua verità. Quelli in cui, o per cui, aveva agito e vissuto.

[p.7]

“Dio, quegli occhi! Non è solo che erano turchini, che già basterebbe, ma erano come vellutati: non una superficie liscia, se capite cosa voglio dire, ma spessa e soffice. Ci si poteva perdere dentro, ammaliati da quella sofficità. Ma non è che il mio giudizio potesse valere più di tanto. E anche dopo non è che di donne io abbia mai capito granchè. Sia come sia, guardare dentro quegli occhi è stata un’esperienza traumatica di cui porto ancora i segni.” [V.M.]

[p.65]

Aria di "golpe"

"non c'erano solo i partiti a premere per una svolta autoritaria. Loro erano solo la faccia scoperta. Dietro si agitava tutto il mondo delle organizzazioni paramilitari fasciste, di spezzoni dei servizi segreti italiani, della CIA e chissà chi altri. Si scoprirà dopo che, da febbraio, molte caserme erano state messe in allarme dai generali, in attesa degli esiti del referendum sul divorzio di maggio '74. Ad aprile una bomba fa saltare un pezzo di binario e il rapido Parigi-Roma evita il deragliamento solo per il blocco automatico dei treni in caso di interruzione delle rotaie. Sarebbe stata un'altra strage. L'organizzazione fascista MAR, capeggiata da Marco Fumagalli, aveva in progetto, per le 48 ore precedenti il referendum, attentati in tutto il paese, da addossare all'estrema sinistra in modo da forzare un intervento dei militari. Fumagalli viene arrestato e il piano salta, ma non del tutto. Ordine Nero piazza in quei giorni bombe in tutto il paese: Milano, Bologna, Ancona. Soltanto a Savona, quattro bombe in poco più di dieci giorni: su un binario mentre stava arrivando un treno di pendolari, in una scuola media, un ufficio pubblico e un condominio di cinque piani. Bilancio: due morti e decine di feriti.

Ma a progettare colpi di stato c'era un sacco di altra brava gente. Sembrava fosse il passatempo degli aficionados della guerra fredda. C'era stata la Rosa dei Venti, un'associazione segreta interna all'esercito scoperta alla fine del '73. L'organizzazione era segreta nel senso che non ne sapevano nulla i politici, mentre ne sapevano tutto i generali, i servizi segreti italiani e della NATO che l'avevano messa in piedi, sicuramente in base alle clausole anticomuniste, anche queste segrete, del Patto Atlantico. La vicenda portò all'arresto, da parte di un coraggioso giudice padovano, del generale Miceli, capo del SID. Ma la Cassazione gli tolse l'inchiesta portandola a Roma.

Poi viene scoperto un altro complotto, capeggiato da Sogno e Pacciardi con l'appoggio degli americani e del comandante della X MAS Valerio Borghese., graziato da Togliatti, ministro della Giustizia, nel '46. Al convegno del PLI, Sogno aveva inneggiato a "un colpo di stato liberale". C'era un'atmosfera talmente demenziale che lui ebbe la faccia tosta di dirlo in un convegno pubblico. A luglio Andreotti, ministro della Difesa, deve destituire una bella manciata di generali e ammiragli: "per prevenire un colpo di stato", dirà. Erano soprassalti di spirito democratico? O lo facevano per mostrare a noi, e al PCI, quanto fossero cattivi e pericolosi i cani da guardia del potere capitalistico?

[pp.166-168]

Conclusione

Parlavo, sentivo, facevo. Ma mi sentivo altrove, come sospeso dietro quello che parlava, sentiva, faceva. Sospeso in un oblìo prostrato e fluttuante, legato all'altro da un sottile laccio di malessere. (..) Mi trovavo in quel particolare stato d'animo in cui il malessere incalza l'abulia per trascinarla sul fondo. Consumare tutto il dolore, e poi, ma solo poi, riemergere. E nel vortice uno sconquasso di sentimenti, seni di colpa, rimpianti. Strappavo una ad una le parole alle pagine ingiallite, sotto la fioca luce della lampadina impolverata tre metri sopra la branda. E ogni parola mi penetrava velenosa nell'anima come mille aghi di afflizione. (..) Fuggiaschi anche da un sè troppo umiliato per essere l'uno rifugio dell'altra. L'angoscia di quella totale, remissiva, impossibilità di speranza, scatenò una frenesia di emozioni che dissolse la scansione del tempo. Tutto il dolore che la coscienza, a sua cautela, poteva diluire, centellinandolo nella cronologia degli avvenimenti, si ammassò come una bufera. I ricordi, i volti, i fatti, erano solo veicoli attraverso cui il dolore veniva a presentare il suo conto. Non sono quelli momenti in cui si ha la forza, o la volontà, di cercare attenuanti, di aggrapparsi alla compassione di sè. Quel dolore assoluto e senza parole, non conosceva la compassione e non conosceva la scusante dei mali del mondo: conosceva solo il male di sè. E ogni ricordo positivo, ogni gesto d’amore, diveniva un aggravante. Isola subito risucchiata nel mare dell’avvilimento.

Il poi arrivò, come arriva sempre. Una benevolenza del tempo che rende stazionaria una grave malattia.” [V.M.] fine (pag.230)



vedi anche su questo blog:

IL CIELO IN UNA GABBIA: il volo della Faranda



Presentazione: