Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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domenica 11 maggio 2025

Ascesa e fine del sogno rivoluzionario di Charu Mazumdar in Naxalbari e i Subaltern studies

 

L'eredità nel Partito Comunista dell'India (marxista-leninista) di Liberazione



L’insorgenza a Naxalbari nel maggio 1967 fu fonte di ispirazione, studio e analisi da parte di Ranajit Guha, fondatore dei Subaltern studies (collettivo che prese forma nel 1980 e nel 1982 pubblicò il primo volume della serie, “Writings on South Asian History and Society”, Delhi, Oxford University Press *) presente nei suoi scritti, in particolare  “Elementary Aspects of Peasant Insurgency in Colonial India“, Delhi, 1983, Oxford University Press. Il “maoismo” di Guha è lo studio di questa insorgenza di origine contadina, che lo allontanò dalla militanza nei partiti comunisti indiani, che non avevano colto comunque la natura sì spontanea e cruenta, ma rivoluzionaria del movimento naxalita, frutto di un assetto elitario dell’India postcoloniale.

* Subaltern Studies I fu pubblicato nel 1982, come parte di quello che a quel punto era stato concepito come il primo di tre volumi. Fu lanciato come un intervento nel campo della storia indiana, e in particolare nella storia del nazionalismo indiano, che, secondo la dichiarazione programmatica del curatore, Ranajit Guha, con cui il primo volume iniziava, era stato dominato da un "elitismo" di due tipi, "elitismo colonialista" ed "elitismo nazionalista borghese". Per il primo, il nazionalismo indiano era meglio inteso come un "processo di apprendimento", in cui "l'élite nativa si coinvolse nella politica cercando di negoziare il labirinto delle istituzioni e il corrispondente complesso culturale introdotto dalle autorità coloniali"; ciò che motivava questa élite non era "un nobile idealismo [...] ma semplicemente l'aspettativa di ricompense sotto forma di ricchezza, potere e prestigio". (cfr. R. Guha, “On Some Aspects of the Historiography of Colonial India”, in Subaltern Studies I, ed. R.Guha (New Delhi, Oxford University Press, 1982, 1-7). 

 

Quando la rivolta contadina scoppiò a Naxalbari nel maggio del 1967, il Partito Comunista Cinese la accolse come "un rombo di tuono primaverile che si abbatte sulla terra dell'India". Il percorso della rivoluzione agraria immaginato da Naxalbari fu notevolmente ispirato dalla traiettoria della rivoluzione cinese. Charu Mazumdar, Naxalbari e il CPI(ML),+  fondato due anni dopo, finirono così per essere associati alla Cina, alla rivoluzione cinese e al Partito Comunista Cinese guidato da Mao Zedong. Ma per molti versi Naxalbari e il CPI(ML) spinsero il movimento comunista più in profondità nel terreno sociale e storico dell'India. Naxalbari rappresentò un passo da gigante verso quella che può essere definita “l'indianizzazione” del marxismo, ovvero l'applicazione dei princìpi rivoluzionari generali del marxismo alle condizioni e al contesto specifici dell'India.




Naxalbari non è nato da un giorno all'altro. Aveva radici inequivocabilmente profonde nella storia della militanza contadina e del movimento comunista indiano. Charu Mazumdar fu uno dei principali organizzatori dello storico movimento Tebhaga – incentrato sui diritti alla terra e ai raccolti dei contadini lavoratori – del Bengala indiviso e, insieme a molti leader comunisti di quel periodo, anche lui fu incarcerato quando il Partito Comunista fu messo al bando nel 1948. Dopo essere uscito di prigione, tornò per prendere le redini dell'agitazione Tebhaga nei distretti di Darjeeling e Jalpaiguri, nel Bengala settentrionale. Fu questa profonda e prolungata associazione con il movimento contadino militante fin dai tempi di Tebhaga che spinse Charu Mazumdar a immaginare la rivolta contadina di Naxalbari e a indirizzarla verso una più ampia rivoluzione agraria. Per lui il grande dibattito nel movimento comunista internazionale non era semplicemente una questione di schieramento, ma, cosa più importante, scuotere con un maggiore dinamismo rivoluzionario l’arena della lotta di classe in India.

Molti dei primi leader comunisti indiani provenivano da contesti aristocratici e ricevettero l'iniziazione all'idea comunista durante gli studi all'estero. Charu Mazumdar si formò in una tradizione diversa: si unì alla corrente comunista del movimento per la libertà nel Bengala indiviso e si dedicò all'organizzazione dei contadini. Quando la rivolta contadina di Naxalbari innescò una grande ondata di risveglio rivoluzionario tra gli studenti, Charu Mazumdar si affrettò a invitarli a recarsi nei villaggi e a integrarsi con i poveri senza terra. Stava di fatto ripercorrendo lo stesso percorso che lui stesso aveva percorso durante la sua giovinezza. Questo era anche l'appello di Bhagat Singh + + ai giovani: raggiungere i lavoratori e gli oppressi dell'India.

Sulla scia di Naxalbari, i rivoluzionari comunisti di tutta l'India sentirono l'urgenza di coordinarsi su scala panindiana e, successivamente, di formare un nuovo partito comunista. Nel lanciare questo nuovo partito, Charu Mazumdar ne sottolineò con enfasi l'eredità rivoluzionaria. Vedeva il nuovo partito come la corrente rivoluzionaria del movimento comunista indiano che avrebbe portato avanti l'eredità delle rivolte Kayyur e Punnapra-Vayalar del Kerala, del grande movimento del Telangana dell'Andhra e dello storico risveglio Tebhaga del Bengala indiviso. Naxalbari e il CPI(ML) ispirarono anche una nuova e più profonda lettura della resistenza anticoloniale indiana, portando alla ribalta la storia delle rivolte degli Adivasi, che pulsavano dell'inconfondibile desiderio di libertà dal dominio straniero e segnarono l'inizio di un grande risveglio popolare nell'India coloniale.

Durante la fase tempestosa di Naxalbari e delle sue immediate conseguenze, Charu Mazumdar e la generazione fondatrice del movimento comunista rivoluzionario ispirato da Naxalbari si concentrarono soprattutto sul progresso della guerriglia contadina. Di conseguenza, le elezioni furono boicottate e le modalità quotidiane di organizzazione di massa e di lotta economica passarono in secondo piano. Per Charu Mazumdar, questa fu in gran parte una risposta specifica e urgente a una situazione straordinaria, e non una nuova strategia per tutti i tempi a venire. Prima di Naxalbari, Charu Mazumdar non aveva mai ignorato la necessità di organizzazioni e lotte di massa e lui stesso si era candidato alle elezioni suppletive dell'Assemblea a Siliguri come candidato del CPI(M).

Di fronte alla dura repressione militare scatenata dallo stato indiano e al drammatico cambiamento della situazione politica, con Indira Gandhi che consolidava la sua posizione dopo la vittoria dell'India nella guerra del 1971 e il sostegno popolare generato dal suo slogan "Garibi Hatao" e da misure come la nazionalizzazione delle banche e l'abolizione del "privy purse", Charu Mazumdar, nei suoi ultimi scritti, sottolineò la necessità di superare la battuta d'arresto. Mantenere vivo il partito forgiando stretti legami con le masse, sostenere gli interessi del popolo come interessi supremi del partito e ricercare l'unità con l'ampia gamma di forze di sinistra e di lotta contro l'assalto autocratico del governo di Indira al centro e del regime di SS Ray nel Bengala Occidentale: queste furono le ultime parole di Charu Mazumdar ai suoi compagni.

Fu quest'ultimo appello di Charu Mazumdar a ispirare il raggruppamento dei comunisti rivoluzionari nell'arena della lotta. Cavalcando l'energia, l'intensità e il coraggio inesauribili della rivolta dei poveri rurali oppressi del Bihar, il comitato centrale del partito fu riorganizzato nel secondo anniversario del martirio del compagno Charu Mazumdar. L'ispirazione e gli insegnamenti tratti dall'intera traiettoria della rivolta di Naxalbari e dal percorso politico del compagno Charu Mazumdar permisero al CPI(ML) riorganizzato non solo di resistere alla repressione e alla battuta d'arresto dell'era dell'”emergenza”, ma anche di guidare una decisa rinascita ed espansione del partito, dando vita a un'ampia gamma di iniziative e lotte democratiche. (..)

Imparando dal compagno Charu Mazumdar, ancora una volta dobbiamo scavare a fondo nelle nostre risorse storiche accumulate e liberare l'iniziativa rivoluzionaria e l'immaginazione del popolo per sventare il disegno fascista e inaugurare una nuova era di rinascita democratica.

[traduzione da “Charu Mazumdar and the Glorious Legacy of India's Communist Movement”, ML Update : Vol. 25, No. 31 (26 July - 1 Aug 2022), The Communist Party of India (Marxist-Leninist) Liberation] 




- Il Partito Comunista dell'India (Marxista-Leninista) di Liberazione è un partito comunista indiano nato dal fermento della rivolta di Naxalbari del maggio 1967. La rivolta di Naxalbari pose saldamente le fasce più oppresse del popolo indiano sulla mappa della politica indiana e al centro della rivoluzione indiana, stabilendo così una continuità con gli storici movimenti contadini guidati dai comunisti di Punnapra-Wayalar e Telangana. Il partito fu fondato il 22 aprile 1969, anniversario della nascita di Lenin, impegnandosi ad applicare il marxismo-leninismo alle condizioni indiane.

 [ https://cpiml.net/About-Us ]

 + Partito Comunista Indiano (marxista leninista) / nel 1972, a seguito della morte dello storico leader Charu Majumdar, si verificò un dibattito fra i sostenitori della linea di Vinod Mishra (che sostenevano la linea di Majumdar pur criticandone gli eccessi estremisti) e di Mahadev Mukherjee (avversario di Majumdar e sostenitore di Lin Biao).

Infine, Mukherjee fondò un "Secondo Comitato Centrale" del PCI(ml), mentre il PCI(ml) originario rimase fedele con Vinod Mishra e si raggruppò intorno al periodico Liberation (da qui il nome che assunse successivamente di Partito Comunista d'India (Marxista-Leninista) Liberazione (abbreviato in PCI-ML-L).

Il primo Comitato Centrale del nuovo Partito si tenne nel 1973 e indicò come compiti prioritari: "a) preservare l'essenza della linea rivoluzionaria del compagno Charu Majumdar, b) unire il Partito su questa base, 3) unire i rivoluzionari dell'India". [sito web PCI (ml) Liberation su cpiml.org]

++ Bhagat Singh è stato un rivoluzionario indiano  - Nascita: 28 settembre 1907, Banga, Pakistan Morte: 23 marzo 1931, carcere di Lahore Central Jail, Lahore, Pakistan / Rivoluzionario influenzato da idee anarchiche e comuniste, è considerato un eroe della lotta anticoloniale indiana contro la dominazione inglese.





Il CPIML è un partito di massa, con una linea di massa, non un piccolo raggruppamento testimoniale. Il marxismo- leninismo è principalmente l’elaborazione del pensiero di Mao Zedong, nella memoria del movimento di Naxalbari del 1967 e del suo principale esponente torturato e assassinato il 28 luglio del 1972 nel carcere di Calcutta, Charu Majumdar, principale promotore dell’insorgenza contadina dei naxaliti. Il partito è stato guidato, dopo la morte di Majumdar, da Vinod Mishra (1947-1998), che ha elaborato una prassi e linea rivoluzionaria nella transizione da gruppo insurrezionale a partito politico organizzato su basi di massa. Liberation è l’organo di informazione del CPIML. 



Dipankar Bhattacharya è l'attuale segretario generale del Partito Comunista d'India (marxista-leninista) Liberazione. 64 anni, Bhattacharya succedette a Vinod Mishra come segretario generale nazionale del partito nel 1998. In precedenza era stato segretario dell'Indian People's Front e dell'All India Central Council of Trade Unions.

 

a cura di Ferdinando Dubla


vedi anche in questo blog: 


OCCIDENTALISMO POSTCOLONIALISMO MAOISMO nei SUBALTERN STUDIES GROUP

 

PER UNA STORIA del collettivo SUBALTERN STUDIES


 

Non solo il movimento naxalita, ma anche la rivolta dei santal (giugno-novembre 1855) fu oggetto di studio e analisi di Ranajit Guha, cfr.

RANAJIT GUHA E LE TRACCE DELLO STORICO INTEGRALE

(da Dipesh Chakrabarty)

 

 

 

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martedì 6 maggio 2025

OCCIDENTALISMO POSTCOLONIALISMO MAOISMO nei SUBALTERN STUDIES GROUP

 


Terzo Mondo. ‘Neanche il Terzo Mondo’, ‘È proprio da Terzo Mondo’. ‘Roba da Terzo Mondo’. Una tale classificazione, che si è diramata nel senso comune occidentalista, gerarchizza ideologicamente coloro che credono di essere la storia da coloro che sono considerati meri oggetti di essa. Gli studi subalterni, non riconoscendo il discorso gerarchico, ne destrutturano la logica, ne svelano la mistificazione. La coppia che parametra l’unico mondo è quella sviluppo/sottosviluppo. Ma il parametro è il sistema capitalista. Per estendersi a dismisura il sistema ha necessità di politica: quella imperialista. L’imperialismo è colonialismo su larga scala, esterno ma anche interno ai singoli Stati-nazione. Ed ecco perchè i Subaltern studies incontrano gli studi postcoloniali: non perchè sia terminato il colonialismo (interno/esterno) ma perchè il sistema [imperialista-capitalista-liberista-neoliberista, ogni categoria analitica ne contiene un’altra] produce la subalternità e la rende funzionale al proprio dominio. / fe.d.

cfr. PER UN DIBATTITO CRITICO SUI SUBALTERN STUDIES E POSTCOLONIAL STUDIES, http://ferdinandodubla.blogspot.com/2023/06/per-un-dibattito-critico-sui-subaltern.html

Anche il pensiero deve essere decolonizzato

La gerarchizzazione del dominio capitalista passa per il senso comune ai più larghi settori sociali: diventa così un a-priori logico che si funzionalizza al sistema.

consapevolezza che il progetto di «recuperare» il subalterno come soggetto agente vero e proprio era destinato a fallire, dal momento che, per definizione, il concetto di subalternità implica una posizione «di minorità» che non può essere annullata in modo retroattivo. Si comprese dunque che il progetto di scrivere la storia dei subalterni era destinato a non raggiungere mai i suoi obiettivi.

G.Prakash, The Impossibility of Subaltern History, in «Nepantla: Views from South», 1, 2000, p. 287.

Ma è proprio la ragione per la quale il potere euristico critico marxista è necessario. Gli studi post/ possono integrare questo potere con uno sguardo che metta in evidenza quale degli assetti dominanti debba essere de-mistificato nella gerarchizzazione dei saperi. L’emergenza ecologica e la diffusa coscienza di massa di un riequilibrio tra la produzione/produttività degli esseri umani con il loro stesso ambiente esterno, mette in crisi oggettiva il mito dello sviluppo e la teleologia del progresso, che nutre il capitalismo delle presunte fasi ‘espansive’, soggetto alla caduta tendenziale del saggio di profitto su larga scala. Il fondatore dei Subaltern studies, Ranajit Guha, allarga, per il tramite di Gramsci, il campo non solo semantico, ma politico, da “proletariato” a “gruppi subalterni”, cioè tutti i gruppi subordinati per ragioni storiche, di classe e frazioni di classe, genere, cultura, lingua, religione. Allarga, non restringe, svela l’estensione del condizionamento ai livelli sovrastrutturali, richiede indagine sociale e, dunque, chiede un’individuazione più larga delle forze motrici di un processo rivoluzionario, sovrastrutturalmente decondizionato e decolonizzato nella contesa egemonica. Per un nuovo ‘paradigma di civiltà’.

“Secondo Grasmci, in estrema sintesi, i gruppi subalterni interagiscono con le formazioni politiche dominanti in modo da influenzarne le decisioni e tale processo genera delle trasformazioni in entrambe le soggettività, subalterna e dominante. Ma è proprio nella dialettica con il potere che la stessa identità subalterna, altrimenti «frammentaria per definizione» si costituisce come soggetto collettivo”.

Gennaro Ascione, «Indiani d'America»: studi postcoloniali, in Storica, Anno XII, 2006, nr.34, Viella, formato digitale, pos. 491.

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2023/09/decolonizzare-il-sapere-subaltern.html

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2024/09/il-pensiero-decoloniale-e-la-categoria.html

 

L’influenza “doppia e sincopata” del maoismo sull’Indian Subaltern Studies Group



repertorio naxalita

 

Il progetto degli Studi Subalterni, e la teoria postcoloniale più in generale, sono stati resi possibili e in modo significativo formati dall'ascesa maoista in alcune parti dell'India tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70. Le critiche alla modernità, al nazionalismo e allo Stato-nazione, e alle narrazioni omogeneizzanti del progresso che caratterizzano queste correnti intellettuali, lungi dall'essere riflessi della loro dissociazione dalla politica radicale, sono il risultato indiretto di un profondo cambiamento culturale e intellettuale, conseguenza del movimento naxalita di questo periodo. Questa genealogia alternativa deve procedere attraverso una lettura altrettanto alternativa del movimento naxalita. Ci si interroga sul perché questo movimento sia stato così importante, data la sua teorizzazione politica semplificata e i suoi successi militari di breve durata. La strategia naxalita di "annientare" i proprietari terrieri feudali e la campagna di "distruzione delle statue" condotta dai giovani naxaliti nel 1970 – comunemente considerata e condannata come infantile e di estrema sinistra – possono essere interpretate invece come uno sviluppo critico della teoria marxista, uno sviluppo che ha poi trovato un'esposizione più esplicita ed elaborata negli scritti del gruppo Subaltern Studies e nelle teorie cosiddette ‘postcoloniali’.

Abstract Seth, S. (2006). From Maoism to postcolonialism? The Indian ‘Sixties’, and beyond. Inter-Asia Cultural Studies, 7(4), 589–605. - tr. Ferdinando Dubla

 

[C’è un] valore tattico di determinate scelte di ordine metodologico ed epistemologico in relazione ai diversi contesti di spendibilità accademica del discorso intellettuale prodotto dal collettivo indiano, o meglio, in relazione a quel nucleo condiviso di tesi e approcci che accomuna gli studiosi coinvolti nel progetto. Abbiamo sottolineato, a sostegno di questa tesi, tre passaggi chiave: il momento della genesi del gruppo, nel 1980, che, nel contesto politico e accademico indiano, si caratterizza dal punto di vista intellettuale come una negazione delle precedenti «storie dal basso» prodotte in India sulle rivolte contadine e con un riferimento esplicito alla storiografia marxista britannica ispirata dalle opere di E.P.Thompson; il momento dell'internazionalizzazione del collettivo e della contemporanea ascesa di diversi suoi membri all'interno delle principali strutture di produzione del sapere anglo-americane a metà degli anni ottanta, in cui assume un valore decisivo la svolta decostruzionista e l'abbandono esplicito della prospettiva storiografica della History from below inglese; la fase della piena riconoscibilità accademica internazionale dell'Indian Subaltern Studies Group come versante storiografico del più ampio progetto Postcolonial Studies, che corrisponde alla rivendicazione, per il termine «subalternità» come costruzione concettuale, della capacità di includere tutte le soggettività che hanno subito il colonialismo come processo storico. La seconda tesi, funzionale all'elaborazione della prima, consiste nella influenza doppia e sincopata del maoismo sul lavoro del collettivo indiano. Una prima dimensione in cui abbiamo rintracciato questa influenza è la collocazione politica del gruppo, definita dal carattere radicale e antagonista dei suoi membri nel contesto nazionale indiano: l'interesse per le masse contadine, l'attenzione posta sul ruolo dei contadini nel processo di costruzione della nazione indiana derivano dall'esperienza di mobilitazione politica del collettivo, sebbene riorganizzata in termini gramsciani lungo l'asse concettuale egemonico/subalterno. Una seconda dimensione in cui abbiamo rintracciato l'influenza, sebbene indiretta, del maoismo come teoria sociale, è il ruolo determinante attribuito alla sfera culturale come ambito relativamente autonomo delle pratiche dei subalterni. Ma soprattutto, il fatto che tale influenza giunga filtrata attraverso una serie di dibattiti interni all'accademia occidentale dimostra come, per quanto il riferimento alla storia indiana costituisca un elemento essenziale nell'autodefinizione dell'Indian Subaltern Studies Group, sia il contesto accademico internazionale occidentale il quadro di riferimento rispetto al quale gli studiosi subalterni hanno adottato strategie e preso posizione. Chiaramente ambedue queste influenze vanno inscritte nel quadro di più ampi e complessi processi di interazione culturale con altri dibattiti ai quali la vicenda intellettuale dell'Indian Subaltern Studies Group è collegata. Eppure, l'enfasi posta sul maoismo, sulle modalità e sui tempi della sua relazione con il versante storiografico della critica postcoloniale ci offre una ulteriore e differente chiave interpretativa sui processi intellettuali e di collocazione accademica attraverso cui il collettivo di studiosi indiani, nato negli anni ottanta, è riuscito a definire uno spazio di produzione intellettuale riconoscibile e rilevante, fino a divenire un punto di riferimento, e dunque un'etichetta, nel panorama accademico mondiale.

Gennaro Ascione, cit. pos. 678-696

 

IL ‘CORRIDOIO ROSSO’



repertorio naxalita

 

I maoisti del Communist Party of India (CPI) sono noti anche col nome di Naxaliti, termine che deriva dal villaggio di Naxalbari situato nel Bengala Occidentale, in cui nel 1967 divampò una violenta rivolta contadina. per opporsi allo sfruttamento subito da parte dei proprietari terrieri e delle autorità, e per liberarsi dal giogo del sistema feudale esistente, eredità del modello coloniale inglese, diffuso ancora oggi nell’India rurale. 150 contadini armati di archi e frecce, attaccarono i latifondisti e presero possesso delle fattorie e dei campi per alcuni mesi prima di deporre le armi di fronte alla violenta risposta dell’esercito regolare indiano.  Una rivolta dallo scarso valore pratico ma che è rimasta simbolicamente impressa nella mitologia di quelle migliaia di diseredati che affollano le campagne e le metropoli dell’India. Pochi anni dopo infatti un attivista comunista, Charu Majumdar, diede vita al Comitato di Coordinamento dei Comunisti di tutta l’India (AICCCR). Di ispirazione dichiaratamente maoista, l’intento di Majumdar era quello di dare vita ad una sollevazione in tutto il Paese a partire dalle campagne. Coscienti della complessità del territorio indiano i maoisti si appoggiarono spesso a realtà tribali pre induiste (gli adivasi) e agli “intoccabili” dalit che già da tempo contestavano apertamente il sistema castale hindu. In breve tempo il movimento cominciò a sfaldarsi, dilaniato da lotte intestine tra i filo-sovietici e i filo-cinesi, ma questa spaccatura non impedirà a numerosi giovani di intraprendere la via della lotta armata. Negli anni 70’ le università di Calcutta vennero contagiate dal fascino dei discorsi di Majumdar e moltissimi studenti entrarono così in clandestinità, fuggendo dalle grandi città industriali per nascondersi nelle foreste e nelle campagne. Qui i rivoluzionari sostituirono il governo ufficiale, organizzando un sistema di gestione del territorio, di giustizia e di riscossione dei tributi che in alcune regioni vige anche oggi. Andra Pradesh, Chhattisgarh, West Bengala, Bihar, fino all’Orissa e al Karnataka: tutti stati che furono e sono fino ad oggi teatro delle operazioni Naxalite. Il cosiddetto “corridoio rosso”. Tra la fine degli anni sessanta  e l’inizio degli anni settanta l’India intera fu scossa da un’ondata di attentati e omicidi contro poliziotti, avversari politici e latifondisti. La risposta del governo indiano fu dura e violenta, nel 1971 Indira Ghandi ordinò un rastrellamento di tutti gli stati interessati dalla guerriglia maoista decimando il movimento. Lo stesso Majumdar fu arrestato nel 1972. Morì in carcere qualche giorno dopo, stremato dalle violenze e dalle torture.

biblio: consultato Piero Pagliani, Naxalbari-India - L'insurrezione nella futura "terza potenza mondiale", Mimesis, 2007

a cura di Ferdinando Dubla



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cfr. anche in questo blog

Subaltern studies: #radicalcriticaltheory, il pensiero critico trasformativo


giovedì 1 maggio 2025

LA STRADA DELLA RIVOLUZIONE

 

La storia politica di Mao è la storia che porta alla strada della rivoluzione


Il giovane Mao (a sx) e il suo maestro bibliotecario Li Dazhao (1889-1927) cofondatore del Partito Comunista Cinese nel 1921

 

Se la Repubblica Popolare Cinese è oggi una grande potenza lo si deve in gran parte alla costruzione maoista e al Partito Comunista Cinese, in un arco storico temporale che va dal 1921 (anno di fondazione del PCC) al 1976 (morte di Mao Zedong). Non è l’apologia di un “modello”, nè la volontà tutta intellettualistica di voler definire, etichettare, o misurare la distanza o vicinanza tra ideale e reale. Il socialismo dalle ‘caratteristiche cinesi’ va studiato dai comunisti che sono i soli a poter esercitare una critica feconda sulle contraddizioni eguaglianza/libertà, socialismo e globalizzazione capitalista, ruolo dello Stato, del partito, Stato di diritto socialista, forme allargate e istituti di democrazia per una effettiva sovranità popolare che combatta nazionalismi colonialismo e imperialismo su scala internazionale. Tutti temi presenti nel pensiero e nell’opera di Mao.

La storia politica di Mao è la storia che porta alla strada della rivoluzione. Dalla fondazione del PCC (Partito Comunista Cinese) e il suo primo Congresso di Shangai dal 23 al 31 luglio del 1921 al 1 ottobre 1949 (nascita della Repubblica Popolare) e la costruzione della società socialista (1949-1976). Nella teoria e nella prassi politica.

A seguito del crescente sentimento antimperialista tra i giovani cinesi, Li Dazhao fondò a Pechino la "Società della Cina giovane" e nell'ottobre del 1918 organizzò la "Società per lo studio del marxismo" all'interno della biblioteca universitaria della capitale cinese, dove un giovane Mao Zedong si era trasferito da poco per lavorare come assistente bibliotecario.

Li Dazhao ebbe un ruolo importante nel “Movimento del 4 maggio“ 1919 e sfruttò le dimostrazioni studentesche per diffondere gli ideali marxisti e della rivoluzione d'ottobre. A seguito dei moti di protesta, cominciarono a comparire in Cina nuovi circoli operai, associazioni per lo studio del marxismo e leghe sindacali.

Grazie al suo interesse per le lotte operaie al suo giornale Meizhou Pinglun ("Critica settimanale"), Li Dazhao riuscì a ottenere abbastanza consensi per fondare il primo gruppo politico di marxisti nel maggio del 1920 e a creare così le fondamenta del Partito Comunista Cinese.

IL MAESTRO DI MAO E LA SORGENTE DELLA RIVOLUZIONE

Li Dazhao o Li Ta-chao (李大釗T, 李大S) nacque nella Contea di Laoting il 29 ottobre 1889, morì a Pechino il 28 aprile 1927. Bibliotecario, fu cofondatore insieme a Chen Duxiu del Partito Comunista Cinese.

Come intellettuale del “Movimento di nuova cultura”, nel 1918 fu reclutato da Cai Yuanpei per dirigere la biblioteca dell'Università di Pechino; con questo ruolo l'anno successivo influenzò gli studenti nel <Movimento del 4 maggio> (a cui prese parte anche egli stesso), tra cui Mao Zedong, all'epoca uno dei suoi assistenti. Nel 1920 divenne professore nella stessa università. Mentre lavorava per la biblioteca dell'università come assistente, Mao acquisì la passione per la lettura e per i libri, mantenuta negli anni successivi.

Li fu uno dei primi ad introdurre il marxismo in Cina, cercando di legarlo alle specificità cinesi: la centralità dei contadini, che avrebbero avuto un ruolo di forza motrice della rivoluzione proletaria e l’unità statale dell’immenso paese che aveva conosciuto dinastie e imperi e smembrato con modalità feudali dai “signori della guerra”. Nel 1921 fondò con Chen Duxiu il Partito Comunista Cinese a Shanghai e Chen ne divenne il primo segretario generale. Sotto la dirigenza di Li e Chen il PCC creò uno stretto legame con il Comintern, e dunque con l’URSS. Il Comintern, interessato agli eventi rivoluzionari cinesi, avvicinò Li e Chen al Kuomintang, il Partito Nazionalista Cinese, fondato da Sun Yat-sen,  con cui i comunisti crearono il Primo Fronte Unito per riunificare una Cina divisa e darle un governo stabile.

Nel 1924 Li entrò nel Comitato esecutivo centrale del Kuomintang. Anche per questo, durante la Spedizione del Nord (1926-1928), a cui prese parte, fu un grande sostenitore del Fronte Unito. Nel 1927 tuttavia fu catturato dalle forze della ‘Cricca del Fengtian’ + all'ambasciata sovietica a Pechino e impiccato poco dopo insieme ad altri 19 prigionieri comunisti per ordine del signore della guerra Zhang Zuolin. La guida del partito era passata già completamente nelle mani di Mao Zedong. Che conservò però la visione di Li dei contadini come sorgente della rivoluzione.

 

+ chiamata così perchè operava nella provincia del Fengtian (ora Liaoning) e gestita da una base territoriale comprendente le tre province nord-orientali che costituivano la Manciuria. Era guidata dal “signore della guerra” Zhang Zuolin, noto come il "Grande Maresciallo",  supportato dal Giappone.

 

 

in questo blog:

CI PIACEVA LA CINA. QUARANT'ANNI SENZA MAO-TSE-TUNG

 

CI PIACEVA LA CINA. QUARANT'ANNI SENZA MAO TSE TUNG. 

Il memorabile libro-reportage di Edgar Snow. Ne ha scritto Simone Pieranni (fe.d.)

[integrale]

 

Mao-Tse-Tung: Sull'esperienza storica del socialismo - Scritti 1956 - introduzione e cura di Ferdinando Dubla - indice

 

100 anni di Partito Comunista Cinese.

 

SUBALTERN STUDIES TRA TENDENZE "POST", ALTHUSSER E MAO-TSE-TUNG

ALTHUSSER E MAO-TSE TUNG NEI SUBALTERN STUDIES

 

 

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a cura di Ferdinando Dubla



Dazi e controdazi - se l’imperialismo è una tigre di carta





venerdì 11 aprile 2025

Sulla questione dello “storicismo”. Lo “storicismo” critico dialettico e l’”antistoricismo”

 

La natura teoretico-prassica del dibattito marxista italiano tra gli anni 50 e gli anni 60 del Novecento (Luporini, Panzieri e Galvano Della Volpe)


Galvano Della Volpe [1895/1968] e Cesare Luporini [1909/1993]


I Quaderni di Gramsci - recuperati dopo la sua morte e portati a Mosca - furono pubblicati dall'Editore Giulio Einaudi, organizzati e rivisti da Felice Platone sotto la guida di Palmiro Togliatti, in una prima edizione tra il 1948 e il 1951. Presentati originariamente secondo un ordine tematico, ottennero un enorme impatto nel mondo della politica, della cultura, della filosofia e delle altre scienze sociali dell'Italia del dopoguerra, permettendo al Partito Comunista di avviare una contesa egemonica nel mondo culturale e intellettuale dell'epoca. Questa contesa filosoficamente ebbe come punta di penna affilata la lettura, l’impostazione e l’interpretazione (ermeneutica) dello ‘storicismo’. Storicista infatti si definiva Gramsci, storicista si definì Togliatti. Ma storicismo era anche l’idealismo di Benedetto Croce, lontano e anzi, avversario del marxismo. Di qui, tutta una serie di dibattiti, fra i quali il ‘crocianesimo’ degli stessi Gramsci e Togliatti. Una grande ambiguità aleggiava su tutta la discussione, che era soprattutto politico-filosofica e lessicale. Come rimarcava nei suoi corsi il mio professore Cesare Luporini nell’ateneo fiorentino, nonchè tra i filosofi di punta del PCI, con il termine ’storicismo’ possono intendersi letture diverse della realtà (e delle idee): c’è quello idealistico, ma c’è anche quello critico-dialettico. Che comporta anche un allargamento espansivo all’essere umano, nè provvidenziale, nè deterministico. Per questo Luporini è passato come ‘anti storicista’ per antonomasia. Ma non corrispondeva filologicamente al suo pensiero, sempre critico e attento verso le posizioni volgarizzate e finalistiche del materialismo storico. Ma su questo torneremo, anche alla luce di un libro collettaneo (a cura di Matteo Cavalleri e Francesco Cerrato), “La battaglia delle idee, Il Partito comunista italiano e la filosofia nel secondo dopoguerra”, Sossella editore, 2024, 336 pp. - 


Antonio Labriola (Cassino, 1843 – Roma, 1904) si forma alla scuola di Bertrando Spaventa. Docente, pubblicista ed esperto di educazione, è tra i maggiori filosofi italiani di ogni tempo. Tra i primi a recepire in Italia l’opera di Marx, fu il principale corrispondente italiano di Engels, interlocutore di Sorel, Bernstein, Kautsky e del giovane Croce.

Labriola incarna un nuovo tipo di intellettuale, che Gramsci collocherà come "organico" alla classe proletaria (cioè frutto di un nuovo "blocco storico" alternativo, ma non "organico" a una milizia di partito), l'intellettuale che si rende conto dell'importanza di strumenti teorici adeguati per l'azione politica. E Labriola li trova, questi strumenti, nel marxismo. Ma un marxismo che deve essere "depurato" dalle degenerazioni (culturali, e quindi politiche) del presente, che sono il positivismo trasformato in metafisica, un evoluzionismo determinista che fa intendere le leggi economiche come fossero leggi naturali, una fede meccanicistica in un progresso scientifico indistinto, avulso dal segno di classe. Ecco allora il problema, di un'attualità straordinaria: l'autonomia teorica del marxismo e la rivendicazione di una pienezza interpretativa della concezione materialistica della storia.

La formazione storico-sociale borghese è destinata ad essere superata dalla nuova formazione storica di tipo socialistico: ma le forme che concretamente assumerà il processo rivoluzionario non sono determinate a priori. Un assunto, questo, che poneva Labriola in forte contrasto con le posizioni scientiste e passivamente deterministiche dello stesso movimento socialista.

 La nuova "dottrina", infatti, la nuova filosofia della prassi, era, nella lezione labriolana matura, sia metodo scientifico per l'interpretazione dei fatti storici sia strumento di azione politica.

FILOSOFIA DELLA PRASSI

Rileggendo Labriola e ripensando lo “storicismo”, da cui quello marxista italiano prende le mosse (cfr. la messa a punto di Nicola Badaloni, Marxismo come storicismo, Feltrinelli, 1962) si comprende come, pur ponendo al centro la storia, fra natura e cultura degli esseri umani, questa non possa essere concepita nè come disegno idealistico e provvidenziale, nè in senso deterministico, l’altra faccia dell’”astuzia della ragione” del ‘progresso lineare’ scientista e positivista. La ricaduta di questi vizi, nella dimensione politica, dà vita o all’attendismo o al riformismo, non all’elaborazione di un pensiero e di una prassi rivoluzionari.

cfr. http://ferdinandodubla.blogspot.com/2020/12/coscienza-critica.html

Il libro “La battaglia delle idee. Il Partito comunista italiano e la filosofia nel secondo dopoguerra”, a cura di Matteo Cavalleri e Francesco Cerrato per Luca Sossella Editore (2024) contiene, tra gli altri, ben due saggi su Cesare Luporini, di Sergio Filippo Magni e Giorgio Cesarale. Quest’ultimo si cimenta con la ricostruzione della polemica tra il filosofo marxista fiorentino di adozione e il filosofo della famiglia dei Conti Della Volpe, Galvano, nel corso degli anni ‘60. Precisamente, nel 1962, era stato Luporini che aveva aperto una polemica con Della Volpe e la sua “scuola” (con epicentro l’Università di Messina) sul ruolo in Marx della contraddizione e dell'"oggettività reale", che per Luporini testimoniavano, contrariamente alla lettura del filosofo imolese, un collegamento di Marx con Hegel anche dopo la fase giovanile della sua riflessione. Una ricostruzione difficile, meritorio lo sforzo di Cesarale per districarsi tra essere e logica, logica scientifica, logica dialettica, marxismo/empirismo/scientismo, piano ontologico, astrazioni ‘determinate’, circolo astratto-concreto-astratto o concreto-astratto-concreto, storicismo/antistoricismo (alle pagine 145-166, il saggio ha per titolo “Dialettica e positivismo nel marxismo italiano post-bellico: la polemica di Luporini e la scuola dellavolpiana). “Scuola dellavolpiana” che diventò moda culturale, come accade, attirò giovani intellettuali come Lucio Colletti e Mario Rossi, ‘prese’ la casamatta della rivista “Società”, particolarmente cara a Luporini che l’aveva co-fondata nel 1945 con Bianchi Bandinelli e Bilenchi. Qui, a nostro avviso, è il punto: l’egemonia culturale non all’esterno ma all’interno del partito dei suoi intellettuali di riferimento. Non è una battaglia ‘teoretica’ pura, disinteressata: c’è una ricaduta politica nella linea politica del PCI e delle sue scelte strategiche, in qualche modo ‘giustificate’ dalla teoria, se non dalla teoresi, nel caso in specie. (su questo cfr. Guido Liguori, “Dallo storicismo alla scoperta delle forme”, in AA.VV. “Il pensiero di Cesare Luporini”, Feltrinelli, Milano, 1994). Intellettuali di riferimento: un’altalena tra il ‘partito’ e  la ‘classe’. Organici. Il partito doveva funzionare gramscianamente da ‘intellettuale collettivo’ per aderire alla classe. Nella prospettiva della società socialista, studiare le tappe del processo rivoluzionario. Qui la vera dialettica del PCI in quegli anni e la natura teoretico-prassica, cioè politica, di quel dibattito. Un pò come la contesa teologica sugli universali che oppose nel Medioevo Abelardo, Roscellino e Guglielmo di Champeaux fino a Guglielmo di Ockham. C’era anche lì una dimensione politica, teologico-prassica, non subito evidente ma che dava alla disputa il suo valore cogente. C’è un antesignano di questo libro sulla battaglia delle idee (il titolo richiama Mario Alicata e una rubrica su Rinascita)  nel PCI degli anni a cavallo delle rivolte studentesche e operaie degli anni Sessanta e Settanta e di cui consigliamo la lettura alla nuova generazione; così come Luporini stesso, a noi giovani studenti di allora, consigliava la lettura di “Marxismo e filosofia in Italia : 1958-1971 : i dibattiti e le inchieste su Rinascita e il Contemporaneo / [a cura di] Franco Cassano, De Donato, 1973. - 




Cfr. Marxismo e filosofia in Italia : 1958-1971 : i dibattiti e le inchieste su Rinascita e il Contemporaneo / [a cura di] Franco Cassano, De Donato, 1973

Premessa e introduzione dell’autore.

Questo volume che raccoglie e organizza criticamente i testi dei dibattiti più significativi sulla natura teorica del marxismo comparsi sulle riviste del Pci, «Il Contemporaneo» e «Rinascita» – risponde all’intenzione di riproporre alle nuove generazioni, non meno che a coloro che di quelle discussioni furono tra i protagonisti, uno strumento per una riflessione e una storicizzazione del rapporto tra marxismo e movimento operaio negli anni ’60. Se infatti sarebbe estremamente schematico e riduttivo leggere gli schieramenti e le contrapposizioni che si definiscono nel dibattito filosofico sulla natura teorica del marxismo come un’immediata espressione di differenze politiche, sarebbe altrettanto impossibile ricostruire per intero il significato politico del dibattito teorico senza esplorare il suo nesso con i problemi che lo scontro di classe, a vari livelli, pone al movimento operaio italiano per tutto l’arco degli anni ’60. Da questo punto di vista infatti il dibattito filosofico non si configura più come una discussione tra gli addetti ai lavori, ma piuttosto come un dibattito sull’adeguatezza o meno di una forma teorica del marxismo allo sviluppo della lotta di classe e alla costruzione di un blocco sociale e politico capace di porsi come oggetto e artefice del processo rivoluzionario in Occidente. Se si può ricostruire una linea lungo la quale si collocano le varie cadenze della discussione, essa è quella della progressiva crisi della interpretazione del marxismo come storicismo. Questa crisi coincide con lo sviluppo della società italiana, con la divisione del movimento operaio e con il lancio della politica di centro-sinistra. Di fronte a questa fase nuova e più avanzata dello scontro di classe, si produce all’interno del movimento operaio una contrapposizione tra chi sottolinea l’organica incapacità del capitalismo italiano di praticare correntemente il terreno delle riforme e chi sostiene invece la necessità di dover spostare in avanti il fronte degli obbiettivi intorno ai quali articolare la strategia del movimento operaio. È sullo sfondo di questo dibattito politico che occorre leggere la disputa filosofica, ed è su questo piano e secondo questa intenzione che procede la premessa del curatore. Il bilancio che ne scaturisce è quello dell’esistenza di alcune linee importanti di ricomposizione di quella frattura intorno a una ridefinizione del marxismo come analisi sociale delle contraddizioni della società capitalistica, ma anche della persistenza di forti ritardi così nell’articolazione precisa di questa ridefinizione come nelle capacità concrete di bruciare ogni residuo filosofico-metodologico in direzione della costruzione politica delle contraddizioni e nell’organizzazione e ricomposizione politica delle forze produttive. Un primo contributo nella direzione della saldatura dell’anima dialettica e dell’anima analitica del marxismo intorno al tema dell’uso della scienza e della divisione del lavoro nel capitalismo maturo vuole essere il saggio che il curatore del volume ha premesso ai testi.

È sullo sfondo di questo dibattito politico che occorre leggere la disputa filosofica, ed è su questo piano e secondo questa intenzione che procede la premessa del curatore. Il bilancio che ne scaturisce è quello dell’esistenza di alcune linee importanti di ricomposizione di quella frattura intorno a una ridefinizione del marxismo come analisi sociale delle contraddizioni della società capitalistica, ma anche della persistenza di forti ritardi così nell’articolazione precisa di questa ridefinizione come nelle capacità concrete di bruciare ogni residuo filosofico-metodologico in direzione della costruzione politica delle contraddizioni e nell’organizzazione e ricomposizione politica delle forze produttive.

Franco Cassano, all’epoca, era assistente ordinario di Filosofia del diritto e professore incaricato di Metodologia delle scienze sociali all’università di Bari.


RENDERE “OGGETTIVA” LA CONTRADDIZIONE 



Raniero Panzieri (Roma, 1921 - Torino, 1964)

 

 La lettura classista di un Marx sganciato da Hegel, diventa critica allo storicismo come teoretica del gradualismo riformista vs. un reale processo rivoluzionario. Sebbene l’inchiesta sociale vedesse al centro la classe operaia settentrionale, torinese, con ondate sempre crescenti di forza-lavoro immigrata meridionale, che andrà a costituire in carne ed ossa la categoria della neosociologia critica dell’operaio-massa, quella di Panzieri è un’elaborazione politica che, proprio perché supportata dall’indagine sul campo, più che ‘operaista’ è classista in senso marxiano. A prescindere dai profondi legami che l’operaio-massa continuava ad avere con la propria terra, anche in termini antropologico-culturali, fondendoli con la ‘modernizzazione’ urbana industrial-capitalista, il metodo dell’inchiesta inverava il circolo dellavolpiano <concreto-astratto-concreto>, pena la ricaduta nell’idealismo metafisico (l’astrazione non-determinata) o nel determinismo neopositivista o scientista come nell’impostazione di Ludovico Geymonat. Scientista non è ‘scientifico’, ma assolutizzazione della scienza, e, come ogni assolutizzazione, cade nel suo opposto dialettico, che non è il relativismo, ma  un’ipostatizzazione dell’oggetto sul soggetto, una contraddizione che solo può essere compresa come “realtà oggettiva” e non legge di pensiero come nella ‘Scienza della logica’ hegeliana, un terreno di battaglia per il giovane Lucio Colletti, allievo di Della Volpe. Singolare che Panzieri partecipi alla critica ‘da sinistra’ allo storicismo, servito da collante ideologico della strategia politica della ‘democrazia progressiva’ del PCI (la linea continua De Sanctis-Labriola-Gramsci parallela a quella Spaventa-Croce-Gentile dell’hegelismo) in questo modo indiretto, comunque con una direttrice analitica che lo metterà in difficoltà nel suo partito, il PSI.

Minimum biblio.:

Lucio Libertini- Raniero Panzieri, Sette tesi sulla questione del controllo operaio, in “Mondo Operaio”, 1958 nr.2

Galvano Della Volpe, Logica come scienza positiva, ed. D’Anna, Messina,  1956

Sulle varie posizioni nel dibattito marxista italiano di quegli anni, sullo sfondo anche il ‘razionalismo critico’ di Antonio Banfi degli anni precedenti, cfr. Giuseppe Vacca (a cura di), Gli intellettuali di sinistra e la crisi del 1956. Un’antologia di scritti del “Contemporaneo”, Editori Riuniti, 1978

a cura di Ferdinando Dubla, Subaltern studies Italia


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martedì 8 aprile 2025

Quello strano triangolo: Raniero Panzieri, Rocco Scotellaro, Mao-Tse-Tung

 

Classe, inchiesta sociale e Mezzogiorno 



PARTITO E AUTONOMIA DI CLASSE

Panzieri si inserisce nel dibattito culturale e filosofico del movimento operaio e dei suoi partiti di riferimento, il PSI e il PCI, nel corso degli anni ‘50, spostando l’asse della elaborazione teorico-politica, dal partito strumento o parte della classe rappresentante di essa, all’autonomia di classe, attraverso il movimento e tutta la sua azione nell’autorganizzazione che riesce a costruire. La classe operaia è la forza motrice della lotta di classe rivoluzionaria ma il protagonismo sul campo della classe contadina in particolare nel Mezzogiorno + fa estendere il concetto di classe ai gruppi subalterni, la cui ‘disgregazione’ analizzata da Gramsci nel Quaderno 25 di Formia (1934-1935) diventa elemento di analisi politica. Fu questa impostazione che causò l’allontanamento di Panzieri dalla condirezione della rivista “Mondoperaio” dopo il 33º Congresso del PSI tenutosi a Napoli nel gennaio 1959 e successivamente dallo stesso partito.

(cfr. Giovanni Scirocco, La svolta autonomista, "Mondoperaio", n. 12/2018, p. 18).

“Panzieri avvia un’analisi sulle modalità di lotta delle classi subalterne che lo porta a concludere come queste costituiscano una realtà che non si confonde con le istituzioni nè con la coscienza espressa dal Partito, e come, pertanto, esse abbiano una loro indipendenza di movimento e di comportamento”.

(cfr. Giulia Dettori, “Dal marxismo ai marxismi”: Partito e intellettuali in Italia dal 1956 al 1967, in La battaglia delle idee - Il Partito comunista italiano e la filosofia nel secondo dopoguerra a cura di Matteo Cavalleri e Francesco Cerrato, Luca Sossella Editore, 2024, pag. 71).

PANZIERI A MEZZOGIORNO

Raniero Panzieri intellettuale del Mezzogiorno? Fu intellettuale ‘organico’ alla classe. La sua lettura dell’opera di Scotellaro (Matera, 1955), compagno di partito morto prematuramente e poeta del riscatto di quelle che De Martino chiamerà le ‘plebi rustiche‘ del Mezzogiorno, lo dimostra.

IL CONVEGNO DI MATERA DEL 6 FEBBRAIO 1955: ROCCO SCOTELLARO, INTELLETTUALE DEL MEZZOGIORNO 




Matera, Cine-teatro Impero, 6 febbraio 1955. Convegno su “Rocco Scotellaro, intellettuale del Mezzogiorno”. Al tavolo, da sn: Franco Fortini, Oronzo Manicone, Raniero Panzieri, Tommaso Fiore, Carlo Levi 


L’iniziatore della tendenza ‘operaista’ nel movimento di orientamento marxista italiano, con i suoi ‘Quaderni Rossi’, non solo fece esperienza diretta dell’occupazione delle terre in Sicilia, ma aveva, per il tramite dello strumento dell’inchiesta sociale (comune anche a Mao, che aveva guidato la classe contadina cinese, frantumata e dispersa nelle ampie zone rurali, a una rivoluzione vittoriosa)+ un concetto estensivo di ‘classe’, non determinista perchè non a-priori.

"In Cina tra il 1924 e il 1928, ebbero la prevalenza nel partito comunista coloro che erroneamente volevano impegnare il movimento di classe a sostenere incondizionatamente il Kuomintang di Ciang-Kai-Shek, aiutandolo a realizzare, dopo il crollo della dinastia Manciù e del sistema feudale, la seconda tappa (democrazia borghese): costoro non tenevano conto della inesistenza di una borghesia cinese capace di porsi come classe ‘nazionale’, e del fatto che le sterminate masse contadine di quel paese potevano lottare unicamente per la causa della propria emancipazione, e non per perseguire schemi astratti e incomprensibili.", Lucio Libertini -Raniero Panzieri, Sette tesi sulla questione del controllo operaio, in “Mondo Operaio”, 1958,  nr.2, pag.831-832.

+ “La campagna accerchia la città”, - a lungo nella memoria delle forze rivoluzionarie cinesi la dimensione della città si era coniugata con la sconfitta della Comune comunista di Shanghai (maggio 1927) quando gran parte dei sostenitori del giovane movimento marxista erano stati uccisi dalle forze nazionaliste. Da quella sconfitta i comunisti capiscono che per ricominciare occorre muoversi nelle campagne, lontano dalle città.

PANZIERI IN SICILIA

Nel dicembre del 1948 Panzieri è a Messina. Lo ha chiamato Galvano Della Volpe, che qui insegna e lo stima – entrambi provano a strizzare Marx fuori dagli schemi dell’hegelismo e dell’ossificazione ideologica –, gli vuole bene e ne conosce le ristrettezze economiche, offrendogli un incarico all’università, facoltà di Lettere: Filosofia del diritto (ne è rimasta la dispensa del corso 1949-50, Il problema dello Stato moderno – La crisi del giusnaturalismo, assemblata e revisionata tra appunti rimasti, pagine tra le carte di Norberto Bobbio e note di Nicolao Merker, che fu allievo di Panzieri e poi a sua volta professore a Messina). Pucci Saija, la moglie di Raniero di origini siciliane, che lo ha conosciuto a Roma dove lei svolgeva un piccolo incarico presso il Partito socialista e lui lavorava a una qualche rivista e si sono sposati, è incinta e non può seguirlo; arriverà nella primavera del 1949 (c’è una delicata e struggente intervista – La mia vita è stata bella – che racconta dell’entusiasmo e dei sacrifici di quegli anni, qui). Tra il 1949 e il 1951 Panzieri insegna all’università e partecipa delle attività della Federazione socialista messinese. Nel 1950 è stata varata la Riforma agraria, e anche la Cassa per il Mezzogiorno. Dopo il ciclo di occupazione delle terre legate ai decreti Gullo, ministro dell’Agricoltura di un governo ancora provvisorio e nel bel mezzo della guerra civile in corso, nel 1944, varati sotto il titolo “Concessioni ai contadini delle terre incolte”, la Riforma agraria sarà occasione per un nuovo ciclo di occupazioni. Nel mezzo c’è stata la repressione brutale della polizia – che ha spesso sparato sui contadini – e l’assassinio per mano di mafia di decine di sindacalisti impegnati nelle lotte per la terra. Continueranno, e l’una e l’altro. Nei Nebrodi del Messinese, contadini e braccianti si organizzano. Alla loro testa c’è questo giovane professore – l’aura di “leggenda” che presto lo avvolgerà racconta: alle quattro è sulle terre, alle dieci fa lezione all’università –, in prima fila anche quando si tratta di sfidare la polizia. Subirà arresti e processi.

(da Lanfranco Caminiti, Raniero Panzieri in Sicilia: le fondamenta dell’operaismo, in "Artudo", 15 febbraio 2017, on line in https://www.antudo.info/raniero-panzieri-in-sicilia/ 



Galvano Della Volpe, autore di “Logica come scienza positiva”, (Messina-Firenze, D'Anna, 1950; 1956) fece diventare l'Università di Messina epicentro della ricerca marxista fuori dai canoni storicisti troppo debitori della logica hegeliana.

Per chi è impegnato nella costruzione unitaria della sinistra di alternativa, Raniero Panzieri è una figura importante, di un’attualità straordinaria. Morto prematuramente nel 1964, a soli 47 anni, è stato considerato il padre teorico-politico dell’”operaismo”, che però, dopo l’abbandono di Mario Tronti dei “Quaderni Rossi” (1963) per divergenze con il suo fondatore, Panzieri appunto, prese strade diverse.

Cfr. Sull'operaismo, gli operaisti e Potere Operaio

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2024/01/sulloperaismo-gli-operaisti-e-potere.html

Inoltre, a nostro avviso, rispetto a letture critiche stereotipate, Panzieri fu intellettuale meridionalista rivoluzionario sul campo. E il metodo dell’”inchiesta sociale”, che lo collega idealmente anche ai metodi di ricognizione politico-sociale di Mao-Tse-Tung

Cfr. RIBELLARSI QUANDO E' GIUSTO: l'inchiesta sociale nei 'Quaderni Rossi' di Panzieri e in Mao-Tse-Tung, http://ferdinandodubla.blogspot.com/2023/03/linchiesta-sociale-nei-quaderni-rossi.html

lo pone oltre la centralità operaia come categoria a priori, sebbene la sua analisi si incentri sul cosiddetto ‘operaio-massa’ degli anni '60 del Novecento. Per estensione, la classe diventa l’insieme dei gruppi subalterni che debbono tracciare il percorso della trasformazione antagonista al sistema capitalista.

A cura di Ferdinando Dubla, Subaltern studies Italia

 

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