Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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sabato 2 aprile 2022

LA RESISTENZA MERIDIONALE PER LA LIBERAZIONE DEL SUD: ENZO MISEFARI e PAOLO CINANNI

 

INSORGENZA E COSCIENZA, PARTITO E SUBALTERNI


Questi concetti non sono nostri: si rintracciano nella lettura di Antonio Labriola del 30 marzo 1891 a Engels. Certo una rivoluzione sociale non può realizzarsi se non opera, più oltre una coscienza organizzata e maturata della successione della stessa rivoluzione: "...tra questi fenomeni spontanei e la coscienza sviluppata della rivoluzione proletaria manca in Italia un anello di congiunzione che è appunto la cultura". Nel 1891 quest'anello mancava nel paese: nel 1945, è doveroso sottolinearlo, nel Sud è ancora assente. Come, quindi, ascrivere a una federazione o ad alcuni compagni, la colpa di non avere, a meno di mesi dal crollo del regime fascista, promosse azioni che avrebbero chiesto una coscienza sviluppata e maturata della rivoluzione sociale, quali quelle di massa "ampie, legali, ordinate e disciplinate"? Le popolazioni del Sud, in più alto grado quelle della Calabria, erano immerse fino al collo nella fame, nelle privazioni, nel caos della guerra e per giunta nelle premeditate provocazioni dei fascisti e dei monarchici che gli anglo-americani istigavano sotto sotto ad agire, fornendo loro protezione e mezzi.

Enzo Misefari, La liberazione del Sud - con particolare riferimento alla Calabria, ed. Pellegrini, Cosenza, 1992, pp.164/165

 

 

- Nello storico testo di Enzo Misefari [Palizzi, 1899 - Reggio Calabria, 1993]

 

(cfr. voce Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Enzo_Misefari?fbclid=IwAR1rx4njPrKJxc1WXbTMFBbvWDZi8lZxBzSF-t3m050lFJq35d5YqK6YW5E)

 

tra i maggiori protagonisti del movimento antifascista e comunista della Calabria, dopo il 1964 tra i più impegnati dirigenti nell’organizzazione dei movimenti marxisti-leninisti italiani, la documentazione dell’ insorgenza nel Mezzogiorno per la liberazione dalle condizioni di subalternità e dal fascismo, a cui seguirono le lotte per la terra e la repressione delle speranze di riscatto in continuità con il regime, ad opera delle classi dirigenti del nostro paese.

- Il testo è di memorialistica storica, avendo il Misefari vissuto di persona gli avvenimenti narrati, e ricostruisce il periodo dal settembre 1943, mese in cui gli Alleati angloamericani, nella loro risalita della Penisola, liberarono la regione calabrese, a tutto il 1945. Forte è la polemica contro l’impostazione data da Paolo Cinanni in “Lotte per la terra e comunisti in Calabria, 1943/1953” (Feltrinelli,1977), che liquida l’”insorgenza” meridionale come spontaneistica e priva del necessario supporto ideale che ne segnerebbe, come prevalentemente contadina, i livelli di coscienza antagonista, a facile ‘infiltrazione’ di mafie e figure banditesche (che furono documentate e provate per lo sbarco degli Alleati in Sicilia e l’appoggio logistico per le armi nella stessa Calabria). Diverso fu invece, nelle lotte contadine per la terra nel dopoguerra, per merito della direzione assunta dai partiti della sinistra storica, il PCI e il PSI. L’esito, però, a prescindere dal dibattito sulla natura del movimento di resistenza e insurrezionale, secondo Misefari, fu la sconfitta. E ciò fu dovuto alla sostanziale continuità del dominio di classe e del blocco storico reazionario e conservatore tra fascismo (al sud ad egemonia degli agrari latifondisti) e gli assetti politico-sociali classisti della ricostruzione democratico-repubblicana ad egemonia democristiana.

“I fatti, le lotte che Misefari ricostruisce, mostrano non solo l’esistenza di una buona rete clandestina (liquidando così le tesi spontaneiste di Cinanni, ma anche, e con grande evidenza, la decisa volontà dei comandi alleati di chiudere ogni spazio politico all’iniziativa delle sinistre, contrastando duramente le occupazioni delle terre, vanificando ogni tentativo di governo con loro, e scatenando contro il movimento dei lavoratori i carabinieri e gli uomini, opportunamente riciclati, del regime fascista, mettendo insomma in atto una grande operazione gattopardesca perchè tutto cambi senza che nulla cambi. “

dalla presentazione di Arturo Marzotti, ivi, pag.7.

Almeno dal punto di vista subalternista, dei contadini, dei salariati fissi, delle raccoglitrici di olive, e della loro acuta sofferenza, l’analisi documentaria del Misefari è più chiara ed eloquente del dibattito politico e accademico su quella che una volta veniva chiamata “questione meridionale”.

Nel testo anche un paragrafo riguardante la Repubblica “rossa” di Caulonia e la figura controversa del suo animatore, Pasquale Cavallaro.

 

PAOLO CINANNI, o la “questione meridionale” come “questione agraria”

 

- Sua fu la strategia di lotta dello ‘sciopero a rovescio’, ma fu emarginato da incarichi di direzione dal PCI per contrasti con Giorgio Amendola.

 

- Calabrese di Gerace, emigrato in Piemonte, dirigente del Pci, impegnato sui temi dell’emigrazione, in prima fila nella lotta per le terre in Calabria dal ’43 al ’53: quando i “cafoni” penetrarono nella storia, sfidando a viso aperto e disarmati la prepotenza dei latifondisti. (..) [Minato nel fisico per l’amputazione della gamba sinistra a 15 anni per un incidente stradale, stringe legame di amicizia con Cesare Pavese e conosce Ludovico Geymonat e Leone Ginzburg, ndr]. Il suo ruolo nella Resistenza sarà enorme. Dall’organizzazione delle brigate partigiane nel cuneese agli incarichi di direzione a Milano tra le fila del Fronte della Gioventù, guidato da Eugenio Curiel. Il 25 aprile lui è lì, nel capoluogo lombardo, partecipa all’insurrezione, occupa insieme ad altri compagni del Fronte la tipografia della Gazzetta dello Sport e stampa il primo giornale della Milano liberata, mentre per le strade ancora si spara.

A guerra finita Cinanni entra nel Comitato Centrale del PCI (fu Giorgio Napolitano a comunicargli la nomina), occupandosi di problemi legati al mondo contadino. Sono gli anni delle occupazioni delle terre e della riforma agraria, anni di dure lotte e di pesanti repressioni. E’ in questo contesto che Cinanni teorizza anche per la questione agraria la formula dello “sciopero a rovescio”, già sperimentata comunque in altri ambiti, sia lavorativi che geografici. L’idea è questa: se un operaio, per protestare, deve astenersi dal lavoro, un disoccupato sciopera lavorando. Nel caso dei contadini, calabresi e non solo, lo “sciopero alla rovescia” si attua marciando sulle terre incolte dei latifondi, picchettando i terreni per suggellarne la presa di possesso, iniziando al tempo stesso ad ararli ed a seminarli.

Cinanni si occupò della questione agraria non solo organizzando le lotte dei contadini, ma scrivendone da “intellettuale organico”, che nel frattempo era diventato. La sua idea era che a quelle lotte, spesso cruente, non era seguito un mutamento reale del regime proprietario e delle condizioni di vita dei contadini, ma solo degli aggiustamenti funzionali, che servirono peraltro ai governi democristiani del tempo per consolidare ed estendere il proprio potere di condizionamento elettorale presso le larghe masse di contadini meridionali bisognose di risposte immediate. (..) per Cinanni le lotte contadine che si svilupparono nell’immediato dopoguerra dovevano costituire il grimaldello per il raggiungimento di obiettivi più generali, e, nello specifico, dovevano condurre ad una più organica riforma agraria per allargare la base lavorativa e produttiva della regione. Non fu così. Dopo i fatti di Melissa del 1949, come lo stesso Cinanni ricorderà, il governo De Gasperi fu “costretto” a prendere in considerazione il problema della “riforma”, ma non andò in profondità nella lotta al latifondo e nella riparazione delle usurpazioni demaniali seguite all’eversione della feudalità. Né il Pci se la sentì di spingere più di tanto su questo versante. Quelli del “centro”, peraltro, erano refrattari a riconoscere una “specificità” meridionale nell’ambito delle lotte operaie e contadine, pensando primariamente ad una dimensione nazionale della lotta di classe. Questa diversità di veduta sul ruolo delle classi subalterne del Sud nella più ampia articolazione del conflitto di classe su scala nazionale sarà alla base di non poche incomprensioni tra Cinanni e il partito. E con Amendola in particolare. (..) Diversamente dal dirigente napoletano, Cinanni pensava che quelle lotte dovessero avere una valenza “progettuale”, servire, in altri termini, ad una più complessiva rinascita del Sud. La sua idea era che la lotta per l’occupazione delle terre dovesse diventare funzionale ad un raccordo del Mezzogiorno col resto del paese, col nord industriale ed operaio, nell’ottica di una “effettiva unificazione delle due Italie”. Rimase isolato. (..) Nel 1965 è chiamato a Roma da Giancarlo Pajetta, nel frattempo nominato direttore di Rinascita. Cinanni si sarebbe aspettato un coinvolgimento nella redazione, ma dovette accontentarsi di un incarico di “promozione e diffusione” del giornale. Lo dirà chiaramente qualche anno più tardi: “Ritenevo forse un po’ ingenuamente, che il partito avesse interesse ad introdurre nel collettivo di intellettuali di Rinascita un compagno di origine proletaria e meridionale, che aveva accumulato una certa esperienza in grandi lotte di massa”.

L’anno dopo fu escluso dal Comitato Centrale e il suo impegno, politico ed intellettuale, si diresse verso le problematiche dell’ emigrazione. E proprio da membro dell’Ufficio emigrazione del Pci, insieme a Carlo Levi, diede vita nel 1967 alla Federazione Lavoratori Emigrati e Famiglie (FILEF). Levi ne diventerà presidente e Cinanni vicepresidente. Questa esperienza comune li legherà in una “vivificante amicizia”, come lo stesso Cinanni scrisse più tardi, fino alla morte del noto scrittore e pittore, sopraggiunta nel 1975. (..) Nel 1967 uscì per i tipi di Editori Riuniti il saggio Emigrazione e Imperialismo, che rappresenta senza dubbio il momento più alto della sua riflessione sulla storia e le condizioni materiali di vita delle classi subalterne. Il libro sarà tradotto nel 1972 anche in tedesco. La tesi di Cinanni sull’emigrazioneè questa: si è trattato di un gigantesco trasferimento di ricchezza dall’Italia e dal Mezzogiorno ai paesi di destinazione, senza niente in cambio. Le stesse “rimesse”, secondo l’autore, non incisero più di tanto sulle condizioni generali del Mezzogiorno.

Ma Cinanni non si ferma al rapporto tra emigrazione e sistema paese nel suo complesso: pregnante è anche la sua analisi dell’esodo alla luce del divario tra nord e sud della penisola. Un’analisi che muove proprio dalla Calabria, presa a riferimento per dimostrare come lo Stato unitario non abbia mai operato per un superamento reale del gap tra Mezzogiorno e resto d’Italia. (..)

Negli anni Settanta Cinanni si dedica quasi completamente allo studio, alla ricerca, all’analisi dei fenomeni sociali e politici che già l’avevano visto interessato negli anni passati. Nel 1973 inizia a collaborare con l’Istituto di Filosofia dell’Università di Urbino, subito dopo dà alle stampe un nuovo saggio, Emigrazione e unità operaia, con prefazione di Carlo Levi. Gira molto in questi anni, anche all’estero, partecipando a seminari e convegni in altri paesi d’Europa, tra cui principalmente la Germania. Non a caso negli anni Ottanta l’Università di Berlino gli conferirà il prestigioso incarico di compilare alcune voci dell’Enciclopedia del marxismo.

Cinanni muore nel 1988, a San Giovanni in Fiore.

 

estratto da LUIGI PANDOLFI E ROMANO PITARO, Quando Paolo Cinanni, il nemico numero uno del latifondo, fu isolato dal Pci. Alla radice dei problemi per comprendere i disagi del Mezzogiorno, 15 gennaio 2014, sta in Calabria on web

https://www.calabriaonweb.it/news3/societa/2481-quando-paolo-cinanni-il-nemico-numero-uno-del-latifondo-fu-isolato-dal-pci-alla-radice-dei-problemi-per-comprendere-i-disagi-del-mezzogiorno-3?fbclid=IwAR3iFZj1C770YKTYelnuo2zHi6l_aAPPNl-wUE7-ltthKBjp21RZtEwcyso


Enzo Misefari (1899/1993)

Paolo Cinanni (1916/1988)



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