Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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martedì 22 novembre 2022

Secretior philosophia. E oggi, Vanini può parlare?

 

Il filosofo libertino erudito pugliese, che girovagò come Giordano Bruno nell’Europa da frate carmelitano fino al 1612, ha necessità di essere studiato anche oltre l’accademia e l’erudizione, appunto. Se filosoficamente il confronto, l’analogia, l’accostamento, vanno elaborati naturalmente con le concezioni olistiche del Nolano, che lo precede, con il panteismo di Spinoza e i presupposti dell’Illuminismo, che lo seguono, con le suggestioni di Schopenauer, che lo cita e lo apprezza; dal punto di vista della più generale teoria politica della filosofia, andrebbe sviluppato un confronto analitico con l’anarchismo libertario, sia nella forma (i dialoghi, come quelli scritti da Errico Malatesta) sia nei contenuti. Contenuti che costarono a Vanini, come già a Bruno e in seguito agli anarchici, la persecuzione, la condanna a morte, i roghi dei corpi e dei libri. Non senza, nel caso di Vanini, avergli prima strappato con le tenaglie la lingua. Per farlo nonostante ancora parlare, oggi, tocca a noi.

Can Vanini speak?

- Il libertinismo erudito di Vanini è un libertinismo radicale, senza mediazioni con il potere, politico ed ecclesiastico. Con l’arte della dissimulazione, che permea i suoi scritti, la critica razionalista, che pone non solo in dubbio i dogmi, ma li sbeffeggia (al modo dell’’”asinità” di Giordano Bruno, “O santa asinità, santa ignoranza, santa stoltezza” - Cabala del cavallo Pegaseo) come imbroglio ideologico. Una concezione panteistica permea la riflessione filosofica sull’umano e il suo mondo, che è integralmente, olisticamente, natura senza trascendenza.

Quando GRAMSCI cita VANINI

“I grandi editori deperiscono in Italia.”

Nei suoi Quaderni del carcere, scritti tra il 1929 e il 1935, Antonio Gramsci, commentando la reazione ecclesiastica della Controriforma, si lascia andare a un’amara constatazione editoriale, nell’ambito della quale cita Vanini: “Le opere complete del Machiavelli furono stampate per l’ultima volta in Italia nel 1554, e nel 1557 il Decamerone integro; l’editore Giolito dopo il 1560 cessò di stampare anche il Petrarca. Da allora cominciano le edizioni castrate dei poeti, dei novellieri, dei romanzieri. La censura ecclesiastica infastidisce anche i pittori. (..) I grandi editori deperiscono in Italia: Venezia resiste di piú, ma infine gli autori italiani e le opere italiane (del Bruno, del Campanella, del Vanini, del Galilei) sono stampate integralmente solo in Germania, in Francia, in Olanda. Con la reazione ecclesiastica che culmina nella condanna di Galileo finisce in Italia il Rinascimento anche fra gli intellettuali.” nota +

Da notare la disinvoltura - non scontata ai tempi in cui scrive - con cui Gramsci accosta Vanini a giganti acclarati come Bruno, Campanella e Galilei.

+ Cfr. Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, 4 voll., Einaudi, Torino 1977, vol.III, Quaderno 17 (IV), §15, pag.1919.

Mario Carparelli, Giulio Cesare Vanini - Il filosofo, l’empio, il rogo, Liberlibri, 2021, p. 49

Giulio Cesare Vanini è un personaggio storico purtroppo poco conosciuto in Italia, ma che andrebbe riscoperto e valorizzato perché rappresenta un importante precursore del materialismo. I contenuti del suo pensiero sono incredibilmente radicali e avanzati rispetto all’epoca in cui vive, e per certi versi anche rispetto al giorno d’oggi, se si considera la cultura dominante, egemonizzata da un pensiero intriso di moralismo confessionale, e allo stesso tempo dove l’irrazionalismo superstizioso ha ampissimo spazio nel senso comune.

Il contesto storico in cui vive Vanini – nato a Taurisano (Lecce) nel 1585 e arso vivo a Tolosa nel 1619 – è quello del periodo barocco dell’Inquisizione, descritto magistralmente nella sua caccia a streghe ed eretici nel romanzo La Chimera di Sebastiano Vassalli, anche se la condanna al rogo per “ateismo e bestemmie contro il nome di Dio” di Vanini non viene inflitta dall’Inquisizione ma dal Parlamento di Tolosa, in un’epoca in cui mettere in discussione Dio era considerato un atto sovversivo anche dal potere temporale.

Adriana Bernardeschi de La città futura https://www.lacittafutura.it/unigramsci/giulio-cesare-vanini-un-precursore-del-materialismo-e-della-laicità-del-pensiero-parte-i

“L’uomo barocco è «chiuso». Le «finestre» sono cieche e artificiose. Non sul petto dovrebbero aprirsi. Ma direttamente sul cuore squarciato. Sulle sue fughe in profondità. Il segreto fonda l’uomo barocco. E, nell’ombra, o nel silenzio, lo rende libero. Nel bene e nel male”, Salvatore Nigro in Introduzione a Torquato Accetto, Della dissimulazione onesta, Einaudi, 1997

Michel Onfray, nel suo noto Trattato di ateologia, sostiene la tesi che Vanini non fosse ateo: “questo pensiero ossimorico non nega la provvidenza, il cristianesimo, il cattolicesimo, ma in compenso rifiuta nettamente l’ateismo […] Tutto ciò non ne fa un ateo […] quanto più probabilmente una specie di panteista eclettico”. La sua condanna quindi sarebbe dovuta alla sua eterodossia e non al suo ateismo., Michel Onfray, Trattato di ateologia, Fazi Editore, 2005, p. 37.

Un ambito imprescindibile per capire l’opera di Vanini è quello dell’aristotelismo naturalistico di Pomponazzi, con i suoi spunti averroistici di forte separazione fra verità e fede: anche qui ci si inserisce in un contesto di parziale giustificazione del dissimulare. La necessità di dissimulare è esplicitata da Giordano Bruno e Tommaso Campanella. Bruno, ne La bestia trionfante, la definisce “scudo della verità”. Campanella dedica ampio spazio al tema del “teatro del mondo”, di uno strutturale portare una maschera che toglieremo solo nel giorno del giudizio.

secretior philosophia  - “tutto ciò che è nuovo modifica profondamente la sensibilità”, G.C.Vanini, De admirandis naturae reginae deaeque mortalium arcanis – edizione italiana: Dei meravigliosi segreti della natura, a cura di F. P. Raimondi e L. Crudo, Congedo editore, Galatina (Lecce), p. 3.

Nelle prime pagine del De admirandis naturae reginae deaeque mortalium arcanis – una delle sue due opere fondamentali, scritta in forma di dialogo – Vanini accenna, tramite una domanda del suo interlocutore, a una sua secretior philosophia (“filosofia più segreta”). Questo avvertimento fornisce al lettore una chiave di lettura: tutto il testo è implicitamente costruito su due piani, uno dei quali (essoterico) serve da maschera all’altro (esoterico). Il concetto di scrittura “sovrapposta” è alla base dell’intrecciarsi delle tecniche di dissimulazione utilizzate da Vanini, è il filo conduttore che le lega.

La secretior philosophia è un discorso sotterraneo che appare in superficie tramite segnali che il lettore deve cogliere e collegare, i quali, suggerendo un contesto implicito, compongono un mosaico dotato di senso. Si tratta dunque di un messaggio cifrato, che solo gli iniziati sapranno decodificare.

Interessante è rilevare come la secretior philosophia vaniniana è allo stesso tempo inganno in quanto utilizza il camuffamento, e verità, che si serve dell’inganno stesso per demolire l’inganno e l’impostura che permea tutta una cultura, passata e presente. - 

Adriana Bernardeschi, - https://www.lacittafutura.it/unigramsci/giulio-cesare-vanini-un-precursore-del-materialismo-e-della-laicità-del-pensiero-parte-ii

si nollet Deus pessimas ac nefarias in orbe vigere actiones, procul dubio uno nutu extra mundi limites omnia flagitia exterminater profligaretque: quis enim nostrum divinæ potest resistere voluntati? Quomodo invito Dio patrantur scelera, si in actu quoque peccandi scelestis vires subministra? Ad hæc: si contra Dei voluntatem homo labitur, Deus erit inferior homine, qui ei adversatur, et prævalet. Hinc deducunt, Deus ita desiderat hunc mundum, qualis est, si meliorem vellet, meliorem haberet” 

“… Se Dio non volesse che si diffondessero nel mondo azioni pessime e delittuose, senza dubbio, con un sol cenno, annienterebbe e bandirebbe  fuori dai confini dell’universo ogni infamia. Chi di noi, infatti, può resistere alla volontà di Dio? E in che modo si può commettere un delitto contro la volontà divina, ammesso anche che nell’atto di peccare Dio fornisca al reo la forza per farlo? E ancora, dicono, se l’uomo cade in peccato, contro la volontà di Dio, allora questi sarà inferiore all’uomo, che riesce ad opporglisi e a prevalere su di Lui. Da ciò deducono che Dio desidera questo mondo così come è. Ché se lo volesse migliore, lo avrebbe”.

 (Amphitheatrum æternæ providentiæ, Lugduni MDCXV, p. 103 – , trad. it. F.P. Raimondi – L. Crudo, Galatina 1981, p.131).

Gli strapparono la lingua prima di soffocarlo e bruciarlo in quel di Tolosa il 9 febbraio 1619, diciannove anni dopo il rogo di Giordano Bruno. È ora che ritorni a parlare. “Ils prefiguraient la libre pensee et la raison“, si legge sulla lapide della ville francese di Toulouse. Infatti, quello che rappresentavano l’infinito e gli infiniti universi per il domenicano Giordano da Nola, erano per il carmelitano Giulio Cesare da Taurisano la materia e la natura.

 

a cura della Scuola di Filosofia “Giulio Cesare Vanini”, Manduria (TA) - https://t.me/scuolafilosofiaVanini



Giulio Cesare Vanini (Taurisano, 19 gennaio 1585 – Tolosa, 9 febbraio 1619)


placeVanini a Toulouse nel luogo del rogo





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