Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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giovedì 20 aprile 2023

ULTIMA FERMATA: EBOLI - ROCCO SCOTELLARO, INTELLETTUALE GRAMSCIANO

 

Il 2023, bi-anniversario della nascita (19 aprile 1923) e della morte (15 dicembre 1953) di Rocco Scotellaro.

 

Fioccano iniziative, video, patrocini per i 70 anni dalla morte (e 100 dalla nascita) dello scrittore di Tricarico, che in vita fu rinchiuso in carcere per un’ingiusta accusa di peculato, in realtà per aver organizzato da giovane Sindaco (il più giovane d’Italia, 23 anni) le lotte per la terra del suo territorio; considerato dai più saccenti e dall’accademia troppo ingenuo e primitivo, come i contadini che cantava con dolente malinconia in cerca di un loro riscatto (“siamo entrati in gioco anche noi, con le facce e i panni che avevamo”), Rocco prefigurava anche un nuovo paradigma di civiltà legato alla terra e al lavoro. E alla libertà, innanzitutto dal bisogno e dalla sofferenza. La stessa accademia oggi lo incensa per imbalsamarlo, cercando anche di renderlo balocco remunerativo per esotico turismo. Ma Scotellaro, da socialista del Mezzogiorno dell’”arretratezza”, incarnava la figura di intellettuale ‘organico’ gramsciano, proprio di quella classe contadina che finora secondo il filosofo marxista sardo, non ne produceva autonomamente, se non per delega agli intellettuali tradizionali. ‘Organico’ alla classe, non a un partito e men che mai a una linea politica. Ebbe tra i suoi mentori sostenitori Carlo Levi, che per questo dovette anche lui nel medio periodo sopportare critiche sull’”arretratezza” <stracciona> di certo meridionalismo, legato troppo alla terra e poco alle mirabilie industrialiste che avrebbero portato ‘progresso’ e ‘civiltà’, nonchè centralità della classe operaia. Per questo e per altro ebbe tra i suoi critici aspri Mario Alicata, alla morte di Scotellaro responsabile cultura del PCI, in nome dell’emancipazione necessaria a quell’”arretratezza” rassegnata e indolente, inseguendo la linea politica dell’italiana strada verso il socialismo. Nel famoso articolo di critica, però,

(vedi ‘Cronache meridionali‘ nr. 9 del 1954 - link http://www.etesta.it/materiali/2018_19_Alicata_1954.pdf),

Alicata giudicava “stroncature rabbiose quanto idiote” quelle pubblicate dalla Gazzetta del Mezzogiorno, allora organo pugliese della Democrazia Cristiana, a firma di tal Gustavo D’Arpe in data 5 e 11 agosto 1954. È la stessa testata oggi punta di diamante delle ricorrenze 100-70.

 

- Molti lo scoprono e lo ri-scoprono dunque oggi che si celebra un bi-anniversario, 100anni dalla nascita 70anni dalla morte. A Matera, Tricarico, suo paese d’origine, altrove, anche al nord, nonostante l’egemonia della falsa cultura dell’autonomia differenziata. Ma quello che fu definito ‘poeta contadino’ (con buone intenzioni, Carlo Levi voleva valorizzarlo e porlo all’attenzione sia del mondo culturale che di quello politico, nel crogiolo di quella che era definita la ‘quistione’ e l’analisi ‘meridionalista’ storica) non fu ‘vate’ di una civiltà che stava per morire, fra miseria, sofferenze, religiosità superstiziosa e rassegnazione, ben rappresentata, tra l’altro, proprio dal Levi del “Cristo si è fermato ad Eboli”, opera pubblicata nel 1945, ma intellettuale critico e organico, gramsciano perchè “persuasore permanente”, organizzatore di lotte, ricercatore-attivista del riscatto (il demartiniano escatòn) a partire dalla terra, la propria, e dalle sue radici culturali, senza sposare acriticamente la sostituzione del ‘paradigma’ della civiltà rurale con quella industrialista-sviluppista che era tipica della sua cultura politica di riferimento, socialista e comunista, marxista, e di cui la critica (posteriore) di Alicata, in qualche modo, fu l’emblema. La centralità della classe operaia come soggetto motore della lotta di classe e della trasformazione rivoluzionaria, si sovrapponeva alla creazione dello stereotipo industria-progresso-civiltà e alla marginalizzazione del mondo contadino, ‘arretrato’ per antonomasia, senza propri organici intellettuali, come aveva sottolineato proprio Gramsci, perchè formato da gruppi sociali popolari frammentati e ‘primitivi‘. La poesia (e l’azione), la inchiesta sociale (‘Contadini del Sud’) portarono la mediazione politico-culturale di Rocco Scotellaro alle radici della modernità, al confronto con gli strumenti interpretativi dello storico meridionalismo latitudinario per riscrivere una ‘quistione’ allargata all’intero mondo ‘grande e terribile’. Davvero l’ultima fermata era stata Eboli. / fe.d. - per i cento anni di Rocco Scotellaro.

 

- LA ‘MEDIAZIONE CULTURALE’ dell’intellettuale che si fa ‘organico’ alla classe

-Originale, pertanto, fu la responsabile consapevolezza del fatto che, per ragioni di classe, si desse, tra l’intellettuale formatosi nei licei classici di Matera, Potenza e Trento, e gli strati subalterni, uno iato inevitabile, e che il lavoro culturale di mediazione dovesse pertanto risiedere nel tentativo di accorciarlo, senza l’illusione buonista di eliminarlo, in un inesausto sforzo di approssimazione alle esigenze popolari, di identificazione con il punto di vista dei dimenticati e di interpretazione sintetica di un nuovo modo di rappresentarne il protagonismo politico. Insomma, la cifra distintiva del modello-Scotellaro, al di là delle artefatte mitologie sortegli attorno, sta nella coscienza realistica della regressione, vissuta tuttavia non come diminutio del proprio statuto culturale, ma come opportunità di allargamento dei confini ristretti dell’idea stessa di sapere e letteratura.

 

Marco Gatto, Rocco Scotellaro e la questione meridionale - Letteratura, politica, inchiesta, Carocci, 2023, pag.17.




Rocco Scotellaro a sx con Giulio Einaudi, a dx con Amelia Rosselli, 1950, foto tratte da "Album di famiglia di Rocco Scotellaro", a cura di Carmela Biscaglia, Grenzi ed., 2019


Ferdinando Dubla - in morte di Rocco Scotellaro -Telero 61 di Carlo Levi - Palazzo Lanfranchi, Matera 







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