Psicologia. Tradotto per la prima volta "La teoria delle emozioni", da Mimesis
Carmelo Colangelo su Il Manifesto del 21 aprile 2019
~ Una concezione psicologica olistica, contro riduzionismo e dualismo, riguardo una teoria delle emozioni che connetta e ricomponga non solo anima e corpo, ma natura e cultura, attività cerebrale organica e codici simbolici, descrizione-spiegazione-interpretazione, materialismo e spiritualismo. (fe.d.)
— Nell’ultimo periodo della sua vita, Lev Semënovic Vygotskij si impegnò in un lavoro di enorme interesse, appena tradotto per la prima volta dall’originale russo con il titolo La teoria delle emozioni Studio Storico-Psicologico (a cura di Mauro Campo, introduzione di Maria Serena Veggetti, Mimesis, pp. 300, e 26,00), tra i testi di maggiore impegno teorico del geniale fondatore della scuola storico-culturale in psicologia, che fu anche un raffinato pedagogista, responsabile di programmi di riabilitazione dei bambini con «difetti» sensoriali e cognitivi, nonché interprete profondo e inquieto delle urgenze culturali, sociali, politiche inaugurate con la Rivoluzione di ottobre. Di origine ebraica, Vygotskij fu amico, tra l’altro, di Pasternak e Ejzenštejn, ma anche sodale di Trotckij, come è risultato dalla pubblicazione, nel 2017, dei Taccuini.
Qui, in Teoria delle emozioni, riflette sul rapporto tra ragione e affettività, sulla necessità di una comprensione aggiornata dell’interazione tra emozioni e facoltà cognitive, assumendosi la consapevolezza della crisi attraversata dalla ricerca psicologica, e richiedendole che – nel restare empirica e sperimentale – non ceda a alcuna forma di riduzionismo fisicalista.
Per Vygotskij, affinché la psicologia potesse cogliere la natura umana nella sua consistenza a un tempo naturale e culturale, era necessaria non solo una articolazione con la sfera sociale ma anche il superamento del dualismo di anima e corpo. In causa era un problema con cui non abbiamo finito di fare i conti: la costruzione di un orientamento in grado di evitare, nella considerazione dell’uomo, le alternative tra automa materiale e essere spirituale, tra studio della fisicità cerebrale e esame dei campi simbolici (a cominciare da quello linguistico), tra spiegazione e descrizione.
A dispetto degli spettacolari progressi delle neuroscienze, oggi, come negli anni Trenta del secolo scorso, non disponiamo di alcuna delucidazione universalmente condivisa delle emozioni, della loro genesi, del loro significato, e tanto meno di una vera soluzione al problema della loro causa primaria. L’analisi storico-critica di Vygotskij – interrotta da quella morte prematura che gli ha procurato l’epiteto di «Mozart della psicologia» – si concentra sulla teoria somatica degli affetti di Karl Lange e William James (le emozioni non sarebbero che l’effetto di specifici mutamenti corporei: non piangeremmo, cioè, perché siamo tristi, ma saremmo tristi perché piangiamo) e ne rintraccia, con esperta sensibilità epistemologica, la discendenza teorica dal Descartes delle Passioni dell’anima, risalendo al debito con la dicotomia mente/corpo.
La radice delle difficoltà e delle opacità caratteristiche delle teorie neuropsicologiche contemporanee – il misconoscimento della storicità delle emozioni, la sospensione del problema del loro senso e del loro valore cognitivo, la rinuncia alla comprensione del loro sviluppo – andava dunque cercata in quello che Antonio Damasio ha chiamato l’«errore di Cartesio». Quelle difficoltà, per un Vygotskij sicuro del fatto che «un idealismo intelligente sia più vicino a un materialismo autentico che non un materialismo stupido», richiedevano una nuova valorizzazione del pensiero di Spinoza, il filosofo da lui più amato e frequentato, nel cui monismo vedeva in controluce la possibilità di un rinnovato programma di ricerca per la «psicologia del futuro». Per Spinoza, essendo anima e corpo due aspetti della stessa realtà, due modi della medesima sostanza, non solo l’emozione tocca profondamente entrambi, ma è anche passibile di una conoscenza che può trasformare l’affetto da uno stato passivo a uno stato attivo.
L’avvertenza che anima lo studio di Vygotskij, grazie al riferimento insistito ai giganti della filosofia moderna, è di quelle che meritano di essere ascoltate attentamente: «ogni emozione è una funzione della personalità». E chi separa il pensiero dagli affetti non solo si preclude la possibilità di comprendere il pensiero in quanto tale – ciò che lo muove, i bisogni e le tendenze che lo influenzano – ma non potrà capire come a sua volta il pensiero possa influenzare le emozioni, rilanciando il loro enigma, rispondendovi dinamicamente.
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