CONTRO LA SCUOLA “QUANTITATIVA” DEI TEST E DELLE MISURAZIONI
l’intervista all’autrice de The Differentiated classroom: Responding to the Needs of All Learners,
testo non ancora tradotto in italiano, ma la cui lettura sarebbe vivamente consigliata agli esponenti ministeriali dell’antipedagogia nostrana, è a cura di Arianna Di Genova ed è apparsa su Il Manifesto del 5/10/2018.
La competizione fa parte della vita, naturalmente, ma è preferibile che la scuola aiuti i giovani a diventare competenti e fiduciosi – sia accademicamente che personalmente. È fondamentale che ognuno di loro comprenda che è artefice del proprio destino, solo così sarà costruttivo e felice. Questo deve rimanere vero anche nei periodi più bui.
È qualcosa che accade quando i dirigenti scolastici e insegnanti immaginano il loro lavoro come un ausilio nello sviluppo di tutti gli aspetti degli studenti, stimolando bambini e ragazzi a diventare «completi». Lavorando per assicurarsi che le esperienze in classe (e le altre opportunità) enfatizzino cose come trovare la propria voce, fissare gli obiettivi, prendersi cura gli uni degli altri, collaborare in modo efficace, riconsegnare il conflitto in modo proficuo, ascoltare e apprendere da varie prospettive, esprimere empatia, oltre a formarsi proprie idee e testare abilità. Gli studenti che imparano meglio sono quelli che vivono in forti comunità scolastiche.
La società americana ha bisogno di capire quanto sia incredibilmente complesso il lavoro di un docente. A volte, è più facile incolpare che sostenere. Quando non si riesce ad apprezzare una risorsa essenziale come l’insegnamento, quel lavoro si traduce in una perdita, per la comunità tutta. Negli Stati Uniti ci siamo consacrati al sistema dei punteggi in test standardizzati. È qualcosa di de-professionalizzante per chi insegna e danneggia il senso di soddisfazione degli studenti, che invece dovrebbe essere il fulcro delle classi. Oltretutto, abbiamo ormai abbondanti prove che la ricerca dei voti con i test non porta nessun grande risultato.
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