Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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venerdì 17 aprile 2020

Il fantastico vagabondare nell'infinito (in Gramsci e De Martino)


- religione, idolatria e storia per il giovane Gramsci e l'antropologia filosofica di De Martino


Una pagina "bruniana " della filosofia di Gramsci offre la possibilità di una comparazione analitica su temi storico-politici e antropologico-filosofici che ineriscono la necessità di attualizzazione del marxismo come "filosofia della prassi" di tipo olistico.
"Siete nel mondo ma non sapete perchè. Operate, ma non sapete perchè. Sentite dei vuoti, e desirereste delle giustificazioni al vostro essere, al vostro operare, e vi pare che le ragioni umane non vi bastino, che risalendo di causa in causa arriviate a un punto che, per coordinare e regolare il movimento, ha bisogno di una ragione suprema, fuori del conosciuto e del conoscibile per essere spiegata. proprio come uno che guardando il cielo e risalendo di piano in piano nello spazio che la scienza ha misurato, sente sempre maggiori difficoltà al suo fantastico vagabondare nell'infinito, e arriva al vuoto e non può concepire questo vuoto assoluto, e allora inconsciamente lo popola di creature divine, di entità soprannaturali che coordinano il movimento vertiginoso e pur logico dell'universo. (..) La nostra religione ritorna ad essere la storia, la nostra fede ritorna ad essere l'uomo e la sua volontà e la sua attività."
Antonio Gramsci, La storia, 29 agosto 1916, in Cronache torinesi 1913-1917, a cura di Sergio Caprioglio; Einaudi, Torino, 1980, pp. 513-514
La "filosofia della prassi", espressione dei "Quaderni dal carcere", centrata dall'unità dialettica di teoria e pratica sociale trasformatrice e rivoluzionaria, è una concezione olistica che ricostruisce l'etica interiore dell'umano in una visione unitaria che ricomprende non una natura antropologica astrattamente intesa, ma  la storia, dunque "secolarizzata".
"Se il totalismo gramsciano, in realtà, va compreso nella sua corrispondenza all'idea di totalità (e non banalizzato come totalitarismo tout court), è perchè esso è, anzitutto e soprattutto, un totalismo interiore-interiorizzato ed in questa sua essenziale intimità etica e morale consiste la sua essenza "secolaristica" e secolarizzatrice, ossia, sostitutrice-sostitutiva a tutti gli effetti della religione tradizionale, con esclusione definitiva di questa, in quanto essenzialmente inautentica. Gramsci alla ricerca dell'autenticità sottesa alla - ma tradita dalla - religione, la ritrova e recupera in una politica eticamente intesa e vissuta, ossia in una politica come totalità umana.", Claudio Vasale, Politica e religione in Gramsci - L'ateodicea della secolarizzazione, ed. Storia e letteratura, 2012, pag.17
Il rapporto tra natura e cultura, tra antropologia e storia, è, come si sa, al centro della riflessione e dell'osservazione partecipante dell'etnologo Ernesto de Martino. Proprio per evitare di cadere in un riduzionismo storicistico e nel meccanicismo deterministico struttura/sovrastruttura, e ricomprendere il marxismo come strumento ermeneutico "olistico", attento cioè alle diverse, ma tuttavia unitarie,  dimensioni dell'umano e della sua produzione, materiale come culturale, egli propone la categoria, di evidente connotazione esistenzialista, di "ethos del trascendimento".

"La critica proveniva da chi a Gramsci aveva guardato con enorme interesse, traendone spunti per la propria ricerca: Ernesto de Martino. Il limite del marxismo, afferma il grande etnologo, è tutto nella centralità data alla produzione materiale, che conduce a due negative e decisive conseguenze. Da un lato non si realizza una vera separazione dalla religione, perché se ne dà una lettura parziale e semplicistica. Il marxismo afferma infatti che sia l'alienazione economica l'origine di quella religiosa. Per de Martino vi è invece, più originaria, un'alienazione radicale connessa alla perdita di senso di sé e del mondo rispetto alla quale la religione si pone come alienazione derivata. Non solo: essa si connota, inoltre, per essere non esclusivamente alienazione, ma anche tecnica di reintegro, storicamente necessitata, di una presenza esposta al rischio di non esserci più nel mondo. Dall'altro, si realizza un'antropologia semplificata, per cui l'attività essenziale dell'uomo è ridotta ad attività economica. Nella concezione marxiana, è l'homo faber che conferisce valore al mondo con la sua produzione materiale ed è lui che muove la storia con la sua lotta per la liberazione delle forze produttive dai rapporti di produzione. Emancipazione economica e liberazione umana vengono così a coincidere. De Martino pone invece a fondamento del divenire storico dell'uomo l'ethos trascendentale, cioè la spinta (che sarebbe l'essenza fondamentale dell'uomo) ad andare sempre oltre la realtà data (a trascendere, appunto) per conferire sempre nuovo valore al mondo.
L'attività valorizzatrice dell'uomo - sosteneva de Martino - si inaugura con la produzione materiale della vita, ma non si esaurisce in questa e alimenta tutta una serie di altre valorizzazioni non riducibili all'utilizzabile. Presi dalla polemica contro l' astrazione dello Spirito idealistico, né Gramsci né il giovane Marx riconoscono che il [i]«movimento dialettico oltre la natura nell'economico e oltre l'economico nelle altre valorizzazioni»[/i] ha in sé una potenza che lo rende possibile, un principio interno: l'ethos trascendentale del trascendimento. Questo mancato riconoscimento conduce ad una prassi cieca ed [i]«.. è responsabile in Gramsci, di alcune ombre mitologizzanti che ancora gravano sul suo marxismo riformato: quando Gramsci parla di un processo di unificazione del genere umano che mette capo alla «sparizione della contraddizioni interne che dilaniano la società», o di una «lotta per l'oggettività» come punto di arrivo raggiunto il quale si potrà riparlare di Spirito, rispunta il tema - di derivazione religiosa, teologica, idealistico-hegeliana - di un processo a termine, e della esauribilità storica della lotta per l'oggettività...»[/i]. In altri termini, la religiosità del marxismo è insita nella sua premessa antropologica. Se la storia dell'uomo è lotta per la liberazione economica, nella società socialista senza classi e senza sfruttamento, [i]«tutte le possibili contraddizioni sociali saranno soppresse una volta per sempre... non se ne genereranno di nuove mai esperite nella storia umana... non si dovrà prendere coscienza di esse e lottare per la loro soppressione»[/i]. La storia avrebbe avuto una sua fine: [i]«La natura sarà interamente "asservita" all'uomo e lo "spirito" sarà liberato una volta per sempre»[/i] ([i] La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali[/i], Einaudi, pp. 440/41). Un mito religioso di redenzione totale. 
Giampiero Minasi, L'umanesimo di Gramsci e il rifiuto della falsa morale cattolica, in https://www.globalist.it/culture/2016/05/08/l-umanesimo-di-gramsci-e-il-rifiuto-della-falsa-morale-cattolica-53809.html
25 gennaio 2014

Con una terminologia di derivazione heideggeriana, ma con un significato antropologico profondo, non metafisico in quanto rientrante nella dimensione dell'"ethos", de Martino interroga l'umano e il suo bisogno di assolutizzare ciò che sembra trascenderlo. Connettendo la sua produzione materiale con quella culturale. Non contraddice nè Marx nè Gramsci, ma ne integra, in una visione "olistica", l'analisi storico-materialistica con i riflessi nella coscienza, che diventano reali "prodotti" di un mondo che è esterno all'umano, ma interno alla costituzione della sua personalità sociale. Potrebbe affermarsi che la "totalità organica" dell'antropologia filosofica di Arnold Gehlen  (cfr. L'Uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, opera del 1940, ed. Mimesis 2010) viene da de Martino implicitamente, e marxianamente,  svuotata  del suo senso conservatore, a favore dell'"onnilateralità" umana pedagogicamente orientata all'edificazione di un nuovo mondo.
Per Gramsci la religione è dunque comprensibile storicamente all'interno della cultura popolare solo se si tiene presente la sua funzione di "falsa coscienza" ideologica, in un rapporto stretto con il folclore e il senso comune, filosofia dei "semplici" che costituisce un cruciale terreno egemonico per il riscatto sociale e la trasformazione rivoluzionaria:
"In effetti Gramsci ritiene che la religione, per la sua eterogeneità ideologica e sociale, si apparenti con (..) il senso comune e col folklore; da una parte, la religione non è un insieme ideologico omogeneo, ma suddiviso concretamente in sotto-religioni; d'altra parte, la religione fornisce al senso comune e al folklore una larga parte della loro sedimentazione ideologica.(..) all'interno di una stessa religione si [può] distinguere una "filosofia", un "folklore" e un "senso comune". (..) in quanto rimangono essenzialmente le concezioni del mondo delle classi subalterne, le religioni, e sopratutto le religioni popolari, formano la parte essenziale delle briciole di ideologie che compongono il senso comune e il folklore; "
H.Portelli, Gramsci e la questione religiosa, Mazzotta, 1976, pag. 37-38

L'ottica di Gramsci e de Martino è infatti quella del riscatto, non della passiva rassegnazione. Partendo dalla reale cultura popolare, operare una fenomenologia del folclore significa poter ricostruire un senso comune. Rivoluzionario, perchè legato alla storia, alla natura, alla cultura, a tutte le dimensioni, esterne e interiori, dell'essere umano.

ferdinando dubla, aprile 2020 



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