Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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mercoledì 7 luglio 2021

I "fraintendimenti creativi" e il laboratorio dialettico di Gramsci negli studi internazionali (Peter D.Thomas)

 

Cosa rimane dei subalterni alla luce dello “Stato integrale”? (Peter D. Thomas)

International Gramsci Journal No. 4 (2nd Series / Seconda Serie) June / Giugno 2015

- in questo saggio Peter D.Thomas affronta nell'introduzione il tema della traduzione, traducibilità e interpretazione degli scritti di Gramsci in relazione allo sviluppo internazionale dei Subaltern studies, critica postcoloniale e studi culturali. - Subaltern studies Italia

extract.: pp.83/85

1. Introduzione

Nei Quaderni del carcere Antonio Gramsci sviluppa un nuovo concetto di classi o gruppi
sociali subalterni, utilizzato per caratterizzare tutti quei gruppi sociali che sono soggetti a
forme di comando e di direzione politica e sociale imposto da altre classi, dominanti o
dirigenti. Convertito al singolare, il concetto di “subalterno” è una di quelle nozioni
originariamente gramsciane, che ha goduto grande successo a livello internazionale,
soprattutto negli ultimi anni. Esso ha dato origine a un intero campo di ricerca accademica –
i Subaltern Studies – affermando Gramsci come uno dei suoi “padri-teorici” più significativi.
Oggi questo concetto gode di una diffusione disciplinare e di un riconoscimento diffusi tra
giovani studiosi e studiose, in maniera paragonabile al concetto di egemonia; addirittura, in
alcuni casi, il concetto di “subalterno” è considerato ancora più significativo rispetto al
concetto, ad esso integralmente connesso, di egemonia, dal quale è talvolta visto come
distinto ed indipendente, se non addirittura con esso posto in antagonismo.
Ma non è stato sempre così. Infatti, l’attenzione al ruolo del concetto di classi o
gruppi sociali subalterni nei Quaderni del carcere è un evento relativamente recente, se lo
paragoniamo alle discussioni precedenti sulle nozioni gramsciane di intellettuali, egemonia, e
a quelle sulla sua nozione distintiva di Stato integrale (si tratta, in quest’ultimo caso, di una
nozione che si è cominciata a discutere relativamente tardi, a partire dalla metà degli anni
Settanta, e che si potrebbe dire continua ad essere ampiamente trascurata anche oggi). In
Italia la discussione sul concetto di classi subalterne e sulle categorie ad esso connesse, in
particolare quella di “popolare”, iniziò alla fine degli anni Quaranta e nei primi anni
Cinquanta, coinvolgendo tra, gli altri, De Martino e Luporini (1). Tuttavia, con alcune
eccezioni, essa non riuscì a trovare un pubblico internazionale più ampio. Le interpretazioni
più diffuse del concetto di subalterno, in effetti, vengono avanzate nei primi anni Ottanta,
quando Ranajit Guha e altri studiosi fondarono il progetto di ricerca collettiva dei Subaltern
Studies, destinato a una lunga stagione di riconoscimenti e polemiche che continuano ancora
oggi (si veda per esempio la critica recente di Vivek Chibber) (2).
Un’ulteriore fase, decisiva, nella discussione fu segnata dal famoso intervento del
1988 di Gayatri Spivak, Can the Subaltern Speak?, che stabilì le coordinate per una diffusione
ancora più ampia (3). Da allora vi è stata un’espansione internazionale degli studi subalterni in
diverse aree geopolitiche, dall’America Latina, all’Irlanda a proposito della diaspora
irlandese, alle iniziative più recenti nel sud-est asiatico (4).

Lo studioso o la studiosa dei Quaderni del carcere probabilmente saluterà questa
accoglienza con una certa ambivalenza, sperimentando, da un lato, gioia per il fatto che i
concetti di Gramsci continuano a trovare un pubblico così ampio e variegato, soprattutto in
contesti interessati ai dibattiti teorici e politici del presente; ma, dall’altra parte, anche un
certo senso di perplessità, se non di delusione. Infatti, sebbene vi sia stata una discussione
intensa sul concetto di “subalterno”, discussione che rivendica un’affiliazione più o meno
distante con le riflessioni dello stesso Gramsci, coloro che hanno provato ad affrontare le
sfide immense e a cogliere la ricchezza degli scritti carcerari di Gramsci, non possono fare a
meno di sentire che la maggior parte di questa produzione teorica si basa su una conoscenza
molto limitata dei testi o dei concetti gramsciani. Di fronte a questa discrepanza, nulla
sarebbe più facile, per lo studioso o la studiosa gramsciani, che dichiarare tali letture
semplicemente sbagliate, prima di intraprendere il compito laborioso ma ingrato di
evidenziare i loro errori e limiti numerosi, a cominciare dal fatto che, come ho notato prima,
mentre i dibattiti recenti hanno parlato per lo più del sostantivo al singolare (“il
subalterno”), Gramsci usa il termine per lo più come un attributo, e al plurale. Lo studioso e
studiosa gramsciani potrebbe perciò tornare con buona coscienza al proprio ambito
specializzato di ricerca, mentre la discussione intellettuale generale continua altrove.
Una tale risposta tuttavia, sarebbe sbagliata sia da un punto di visto sostanziale, sia
strategico. Come ha sostenuto Guido Liguori, nonostante, o forse anche a causa dei molti
errori contenuti nella recezione generale delle riflessioni di Gramsci sulla subalternità, queste
letture filologicamente naïve hanno almeno avuto il merito di attirare l’attenzione su un
concetto – o meglio, una serie di concetti, o un campo semantico – che in precedenza non
era stato oggetto di esame critico (5). Questo, per dire che ora siamo in grado di riconoscere
come filologicamente errati molti degli usi di Gramsci da parte del collettivo dei Subaltern
Studies o di Spivak, tra molti altri. Paradossalmente, però, siamo in grado di farlo, almeno in
parte grazie all’attenzione che essi hanno prestato al concetto, spingendo studiosi e studiose
gramsciane e molti altri a tornare sui testi di Gramsci e a rileggerli in modo nuovo.
Qualunque siano le loro mancanze, è stato grazie a questi “fraintendimenti” che i Quaderni
del carcere oggi possono essere visti, da un certo punto di vista, come una immensa
enciclopedia delle forme di subalternità generate all’interno della modernità politica e,
ancora più importante, come una enciclopedia degli abbozzi di una strategia per il loro
superamento.
In questo senso, si è trattato di “fraintendimenti creativi”, che, sebbene involontariamente, hanno offerto l’opportunità di un chiarimento filologico e storico del ruolo di questi concetti nel dinamismo del laboratorio dialettico di Gramsci, sfida, quest’ultima, che è stata affrontata in molti importanti lavori recenti, come ad esempio quelli del tristemente scomparso Giorgio Baratta, di Buttigieg, Green, Zene e Modonesi, per citare solo alcuni dei contributi principali (6). Strategicamente, questa congiuntura rappresenta per gli studiosi di Gramsci un’opportunità di dimostrare i modi in cui una lettura filologicamente informata dei Quaderni del carcere può essere in grado non solo di indicare “quello che Gramsci realmente intendeva” con la nozione di gruppi sociali subalterni, ma anche i modi in cui un’indagine filologica dei suoi concetti potrebbe essere in grado di fornire una prospettiva chiarificatrice per questo e altri dibattiti più ampi.

note 
1 La discussione si è svolta in particolare sulla rivista “Società”. Cfr. ora Antropologia culturale e questione meridionale, a cura di C. Pasquinelli, Firenze, La Nuova Italia, 1977.
2 Cfr. in particolare R. Guha, Dominance without Hegemony: History and Power in Colonial India, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1997 (1989) e V. Chibber, Postcolonial Theory and the Specter of Capital, London, Verso, 2013.
3 G. C. Spivak, “Can the subaltern speak?”, in Marxism and the Interpretation of Culture, ed. by C. Nelson and L. Grossberg, Urbana and Chicago, University of Illinois Press, 1998, pp. 271-313.
4 Per resoconti della discussione, cfr. J. A. Buttigieg, “Sulla categoria gramsciana di ‘subalterno’”, in
Gramsci da un secolo all’altro, a cura di G. Baratta e G. Liguori, Roma, Editori Riuniti, 1999; J. A. Buttigieg, “Subalterno, subalterni”, in Dizionario gramsciano 1926-1937, a cura di G. Liguori e P. Voza, Roma, Carocci, 2009; M. E. Green, “Gramsci Cannot Speak: Presentations and Interpretations of Gramsci’s Concept of the Subaltern”, Rethinking Marxism, XIV, 2002, n. 3, pp. 1-24; Id., “Rethinking the subaltern and the question of censorship in Gramsci’s Prison Notebooks”, Postcolonial Studies, XIV, 2011, n. 4, pp. 387-404;
G. Liguori, “Tre accezioni di ‘subalterno’ in Gramsci”, Critica marxista, 2011, n. 6, pp. 33-41.
5 G. Liguori, “Tre accezioni di ‘subalterno’ in Gramsci, cit., p. 35.
6 G. Baratta, Antonio Gramsci in contrappunto. Dialoghi col presente, Roma, Carocci, 2007; Buttigieg, “Sulla categoria gramsciana di ‘subalterno’”, cit., e “Subalterno, subaltern”, cit.; Green, “Gramsci Cannot Speak”, cit. e “Rethinking the subaltern and the question of censorship in Gramsci’s Prison Notebooks”, cit.; C. Zene, “Gramsci ve madunlarim dini: güney asya’daki dalitler (dokunulmazlar) hakkinda bir örnek çalişma”, felsefelogos, XLIV, 2012, n. 1, pp. 39-74; Id., “Self-Consciousness of the Dalits as “Subalterns”: Reflections on Gramsci in South Asia”, Rethinking Marxism. A Journal of Economics, Culture & Society, XXIII, 2011, n. 1, pp. 83-99; M. Modonesi, Subalternidad, antagonismo, autonomía. Marxismo y subjetivación política, Buenos Aires, Clacso/Prometeo Libros, 2010.

abstract e download del saggio di Peter D.Thomas




Member
School of Social Science

Visitor
School of Social Science

University of Amsterdam
Ph.D.
2008

Peter Thomas’s research at IAS focuses on processes of authorization, translation, globalization, and condensation in the development of subaltern studies, from its origins in a creative reading of Antonio Gramsci’s political thought, through its subsequent international diffusion, to the contemporary contestation of its legacies.


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