di Marco
Valisano
Ernesto de
Martino (1908-1965) è stato uno studioso
difficilmente inquadrabile. Ad oggi, infatti, lo si trova etichettato
tanto come etnologo quanto come storico delle religioni; il più delle volte
come antropologo, più raramente come filosofo. La cosa non ha, ad ogni modo,
alcun interesse, perché ognuna di queste denominazioni coglie aspetti decisivi
del suo lavoro (basta sfogliare le prime pagine di Naturalismo e
storicismo nell'etnologia per rendersene conto). Quel che
però non è in nessun modo lecito è qualificarlo come un raccoglitore di usi
popolari, come studioso di folklore. Leggerne l'opera in questa chiave
richiederebbe, peraltro, uno sforzo interpretativo davvero titanico. Ernesto de
Martino fu anzitutto un intellettuale
organico, e certamente fu filosofo se la filosofia è, nella
meravigliosa definizione di Foucault, una politica della verità.
 
L'interesse di de
Martino è stato volto principalmente alla comprensione del ruolo esistenziale
di quello che chiamava "nesso mitico-rituale", e cioè dei modi in cui
si-dicono e si-fanno le cose. È di questo che si è sempre occupato, almeno sin
da Il mondo magico e
di seguito per tutta intera la cosiddetta "trilogia meridionalistica"
(Morte e pianto
rituale, Sud e magia, La terra del
rimorso). A valergli la qualifica di antropologo sono state
principalmente queste tre opere, delle quali raramente si è messo in evidenza
il portato più schiettamente teorico. La vena filosofica dell'indagine
demartiniana tracimerà però prepotentemente nei due volumi usciti postumi,
ovvero La fine del mondo e Scritti filosofici, fornendo così valide
chiavi di lettura per l'intero suo percorso di ricerca. Nella fattispecie,
queste consentono di guardare alla ricerca demartiniana come a un tentativo di
costruire una teoria della
singolarità e delle istituzioni partendo dal concetto
esistenziale di crisi della presenza.
 
extract. da LiberCensor 
http://www.libercensor.net/contenuti/naturalismo-e-storicismo-nell-etnologia
Quattro saggi intimamente legati
 Il volume è composto da quattro saggi che, il linea di principio,
sono autonomi, e possono perciò leggersi anche separatamente. Ma non conviene.
Essi sono infatti intimamente legati da una comune volontà di analisi, dal
medesimo obiettivo teorico: mostrare le insufficienze metodologiche
delle scuole etnologiche allora in voga, tanto di quelle che usavano
un metodo eminentemente naturalistico (pp. 63-116) quanto di quelle che
rivendicavano un metodo storicista (pp. 151-198).
(..) 
Il primitivo come un prima,
il primitivo come un fuori
(..)
- coloro che usano il concetto del primitivo nel
     senso della cronologia (cfr. Frazer [1890] 1994), certo riconoscono una
     continuità tra il nostro mondo e quello dei "primitivi" (anche
     noi eravamo così). Ma così facendo confondono le acque, perché le
     comunità "di interesse etnologico" sono a noi contemporanee;
     inoltre, dare per buono che sia più primitivo ciò che viene prima
     renderebbe necessario reputare l'alto Medioevo meno "primitivo"
     dell'Atene classica. Il concetto del "primitivo" non può dunque
     essere usato così;
- coloro che, invece, usano il concetto del
     primitivo al fine di denotare una differenza qualitativa tra quel mondo e
     il nostro (cfr. Lévi-Bruhl [1927] 2007), se hanno il merito di mettere a
     fuoco lo scarto vigente tra esperienze del mondo tra loro lontane (ognuno
     ha il suo modo d'intendere il mondo e il suo senso),
     contemporaneamente creano però uno iato così ampio tra il
     "primitivo" e il "moderno" che diviene
     impossibile riuscire a spiegare come sia potuto accadere che un bel giorno
     si sia passati dal primo al secondo.
Il primitivo come categoria logica
Bisogna fare perciò uno sforzo interpretativo
d'altro tipo. È necessario considerare il concetto di primitivo in un senso
puramente logico, ovvero come una dimensione antropologica primaria che,
lungi dal poter venire archiviata, sta sempre quale più o meno tacita
componente dell'umano. (..) Nelle pagine che de Martino dedica al
concetto di prelogismo coniato da Lucien Lévy-Bruhl per dar conto
della "mentalità primitiva" (..)
(..)
Sviluppi della ricerca di de Martino
(..)
- Il primitivo come categoria logica – Questo punto
     verrà definitivamente in chiaro con Il mondo magico, specialmente con la meditazione che
     de Martino farà delle critiche mossegli da Benedetto Croce ed Enzo Paci
     (Croce [1949]; Paci [1950]). Non riuscendo in nessuna maniera a trattare
     l'arcaico come un'epoca storica, de Martino dovrà considerarlo in maniera
     sempre più netta come una costante antropologica. Andando a fondo,
     non è forse una forzatura sostenere che de Martino arriverà a coniare il concetto
     di "crisi della presenza" proprio in relazione a questo sostrato
     primitivo, considerandolo quale un originario spaesamento del nostro
     esserci (cfr. Mazzeo 2009). Ciò che ci è di più intimo è l'arcaico,
     ciò che più ci è vicino è il crollo rovinoso dell'essere-nel-mondo;
- Opposizione individuo/società vs. dialettica
     singolo-istituzione – Questo crollo rovinoso verrà legato a
     doppio filo con la crisi delle istituzioni di una comunità, istituzioni
     che de Martino chiama si-fa-così. Si tratta di modalità istituite
     in cui si-fanno le cose, e che nella ricostruzione del filosofo napoletano
     risultano essenziali al processo di riscatto da una primitiva crisi
     dell'esserci (cfr. specialmente de Martino [1961] 1996; Id. [1977] 2002). Si tratta di
     uno spaesamento originario, che per poter essere gestito e dar luogo a una
     vita umana necessita di una presa in carico istituzionale. La società, con
     i suoi moduli stereotipati d'azione, non inibisce né avalla l'agire, ma
     lo fomenta, consentendo la fuoriuscita da questa crisi
     arcaica. La sfera dell'individuale, lungi dal prescindere dalle
     istituzioni sociali, si configura come una modalità irripetibile di
     modulazione delle stereotipie (Id. [1958] 2000).
Marco Valisano
per LiberCensor
https://unimore.academia.edu/MarcoValisano?from_navbar=true
Bibliografia, riferimenti e suggerimenti di lettura
- Croce, Benedetto [1949] Intorno al
     magismo come età storica. In Ernesto de Martino [1948] (1998) Il
     mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo. Introduzione di
     Cesare Cases. Torino: Bollati Boringhieri.
- De Martino, Ernesto [1948] (1998) Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo.
     Introduzione di Cesare Cases. Torino: Bollati Boringhieri.
- [1958] (2000) Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico
      al pianto di Maria. Introduzione di Clara Gallini. Torino:
      Bollati Boringhieri.
- [1977] (2002) La fine del mondo.
      Contributo all'analisi delle apocalissi culturali. A cura di Clara
      Gallini e Marcello Massenzio. Torino: Einaudi.
- Durkheim, Émile [1895] (2008) Le
     regole del metodo sociologico. Trad. di Fulvia Airoldi Namer. Torino:
     Einaudi.
- Frazer, James [1890]
     (1994) The Golden Bough. A Study in Magic and Religion. Edited
     with an Introduction by Robert Fraser. London and New York: Oxford
     University Press.
- Lévy-Bruhl, Lucien [1927] (2007) La
     mentalità primitiva. Trad. di Carlo Cignetti. Torino: Bollati
     Boringhieri.
- Mazzeo, Marco (2009) Contraddizione
     e melanconia. Saggio sull'ambivalenza. Macerata: Quodlibet.
- Paci, Enzo [1950] Il nulla e il problema dell'uomo. In Ernesto de
     Martino [1948] (1998) Il mondo magico. Prolegomeni a una storia
     del magismo. Introduzione di Cesare Cases. Torino: Bollati Boringhieri.
Pubblicato Wednesday 18 April 2018
Modificato Thursday 2 January 2020
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