Il
Quaderno 12 fu redatto da Gramsci a Turi nel 1932. Può considerarsi un vero
compendio della sua filosofia dell’educazione, con concrete proposte di
trasformazione rivoluzionaria delle politiche scolastiche adottate dalle classi
dirigenti del Regno d’Italia, liberal conservatrici prima, fasciste dopo. Ma
anche di critica delle pedagogie idealistiche, spontaneiste e/o attivistiche
che non delineavano nessuna vera trasformazione rivoluzionaria, legate a schemi
astratti affatto concreti. Il Quaderno profila infatti una vera e propria
“pedagogia della praxis”. Riprendiamo di seguito alcune citazioni.
Il titolo complessivo del Quaderno 12 (XXIX) è “Appunti e note sparse
per un gruppo di saggi sulla storia degli intellettuali”. Il suo compendio
pedagogico è in particolare il § ⟨2⟩. Osservazioni sulla scuola:
per la ricerca del principio educativo.
[cit.] Il concetto dell’equilibrio tra ordine sociale e ordine naturale sul fondamento del lavoro, dell’attività teorico-pratica dell’uomo, crea i primi elementi di una intuizione del mondo, liberata da ogni magia e stregoneria, e dà l’appiglio allo sviluppo ulteriore di una concezione storica, dialettica, del mondo, a comprendere il movimento e il divenire, a valutare la somma di sforzi e di sacrifizi che è costato il presente al passato e che l’avvenire costa al presente, a concepire l’attualità come sintesi del passato, di tutte le generazioni passate, che si proietta nel futuro.
[cit.] Se il corpo magistrale è deficiente e il nesso istruzione-educazione viene sciolto per risolvere la quistione dell’insegnamento secondo schemi cartacei in cui l’educatività è esaltata, l’opera del maestro risulterà ancor piú deficiente: si avrà una scuola retorica, senza serietà, perché mancherà la corposità materiale del certo, e il vero sarà vero di parole, appunto retorica. (..) un mediocre insegnante può riuscire a ottenere che gli allievi diventino piú istruiti, non riuscirà ad ottenere che siano piú colti.
[cit.] Nella scuola attuale, per la crisi profonda della tradizione culturale e della concezione della vita e dell’uomo, si verifica un processo di progressiva degenerazione: le scuole di tipo professionale, cioè preoccupate di soddisfare interessi pratici immediati, prendono il sopravvento sulla scuola formativa, immediatamente disinteressata. L’aspetto piú paradossale è che questo nuovo tipo di scuola appare e viene predicata come democratica, mentre invece essa non solo è destinata a perpetuare le differenze sociali, ma a cristallizzarle in forme cinesi.
[cit.] L’impronta sociale è data dal fatto che ogni gruppo sociale ha un proprio tipo di scuola, destinato a perpetuare in questi strati una determinata funzione tradizionale, direttiva o strumentale. Se si vuole spezzare questa trama, occorre dunque non moltiplicare e graduare i tipi di scuola professionale, ma creare un tipo unico di scuola preparatoria (elementare-media) che conduca il giovinetto fino alla soglia della scelta professionale, formandolo nel frattempo come persona capace di pensare, di studiare, di dirigere o di controllare chi dirige.
[cit.] il discente non è un disco di grammofono, non è un recipiente passivamente meccanico. Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza. [*]
Negli anni ‘30 dunque Antonio Gramsci
sistemerà, nei Quaderni dal carcere, i propri principi pedagogici (non separabili
dall‟impianto generale della sua analisi teorico-politica complessiva) in forme
non dissimili nella sostanza dalle concezione della didattica del collettivo di
Makarenko, sviluppando una vera e propria pedagogia della praxis che, da una
parte si collegava alle intuizioni di Antonio Labriola, dall’altra motivava la
sua avversione al neoidealismo di marca crociana e specificatamente riguardo la
cosiddetta “Riforma”, di marca gentiliana; e criticava il profilo educativo dei
metodi attivistici che si erano diffusi in Europa grazie all’opera di Ferriére che aveva reso egemone la filosofia dell’educazione deweyana nel più
generale slancio di rinnovamento delle metodologie educative, necessario per
rompere una tradizione stantia e regressiva volta solo a selezionare le future
classi dirigenti e a perpetuare la discriminazione e la divisione di classe.
*Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, cit. da edizione digitale Einaudi su Edizione 1975 curata da Valentino Gerratana. Le pos. relative sono da pag. 2133 a pag. 2141.
a cura di Ferdinando Dubla
Vedi anche in questo blog:
LA
PEDAGOGIA DELLA PRAXIS e la dialettica educatore/educando
Nessun commento:
Posta un commento