Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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giovedì 16 luglio 2015

SULL’ULTIMO BERLINGUER (1979-84)

 
 
 
Da Guido Liguori, Berlinguer rivoluzionario - Il pensiero politico di un comunista democratico, Carocci, 2014, pp.131-32
L’unica forma della democrazia non poteva essere “spingere un bottone”. Ogni epoca – sosteneva Berlinguer – vedrà “la naturale tendenza dell’uomo a discutere, a riunirsi, ad associarsi”, anche se cambieranno le forme. Ogni epoca avrà “i suoi movimenti e le sue associazioni”. Infatti, “i movimenti pacifisti, i movimenti ecologici, quelli che, in un modo o nell’altro, contrastano la omologazione dei gusti e il conformismo: chi avrebbe saputo immaginarli quaranta o  anche venti anni fa?”.  Naturalmente sarà “compito dei partiti (..) quello di adeguarsi ai tempi e alle epoche”. La loro tenuta si sarebbe misurata dalla “loro capacità di rinnovarsi”, ma sempre senza recidere le radici. Fra questi due poli muoveva la ricerca del ‘secondo Berlinguer’, in un lavoro non di corto respiro, non schiacciato sulla politica immediata, alla ricerca di ‘pensieri lunghi’, senza trascurare “il coraggio di una Utopia che lavori sui ‘tempi lunghi’”, sempre con l’obiettivo del socialismo, qui definito “la direzione consapevole e democratica, quindi non autoritaria, non repressiva, dei processi economici e sociali con il fine di uno sviluppo equilibrato, della giustizia sociale e di una crescita del livello culturale di tutta l’umanità”.
Le citazioni sono da E. Berlinguer, Orwell sbagliava, in l’Unità, 18 dicembre 1983


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