Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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venerdì 13 dicembre 2024

Le categorie dell’antropologia filosofica di Ernesto de Martino e gli studi sui subalterni

 

La nostra civiltà è in crisi: un mondo accenna ad andare in pezzi, un altro si annunzia. Naturalmente, come accade nelle epoche di crisi, variamente si atteggiano le speranze e variamente si configura il “quid maius” che sta per nascere. Tuttavia una cosa è certa: ciascuno deve scegliere il proprio posto di combattimento, e assumere le proprie responsabilità. Potrà essere lecito sbagliare nel giudizio: non giudicare non è lecito. Potrà essere lecito agire male: non operare, non è lecito. Ciò posto, qual è il compito dello storico? Tale compito è sempre stato, ed ora più che mai deve essere, l’allargamento dell’autocoscienza per rischiarare l’azione.” 

Ernesto de Martino, da Naturalismo e storicismo nell’etnologia, Laterza (1941)



- Chi siamo noi dunque? Una stratificazione culturale delle genti antiche, il retaggio atavico di una natura umana che è nella storia del mondo, perchè tutto ciò che è nella natura è nella storia. /fe.d.

 

TRA APOCALISSE E RISCATTO [DEI SUBALTERNI]

Le “plebi rustiche” nell’ermeneutica dell’antropologia filosofica di Ernesto de Martino

Terra lucana, scriverà De Martino, dove vivevano alcune migliaia di contadini, ma meglio si direbbe che contendevano “al caos le più elementari distinzioni dell’essere”.

 [E. De Martino, Furore Simbolo Valore (1962), Feltrinelli, Milano 2002, p. 119].

“il folklore rappresentava il riflesso, sul piano culturale, della dipendenza economica e politica di quelle classi, era cioè cultura servile di classi politicamente asservite”.*

*Ernesto de Martino, Gramsci e il folklore, in “Il calendario del popolo”, 8, 1952, p.1109.

È Eugenio Imbriani che torna a riflettere sull’immenso debito contratto da de Martino nei confronti della “plebe rustica del Mezzogiorno”, di quella gente povera che condivideva con lui non soltanto i frammenti di una vita intera – ricordi di un’ingiustizia subita e dolori di esperienze defunte –, ma l’intera loro quotidianità. Simona Taliani, in ‘Aut-Aut’, nr. 366/2015, Il Saggiatore. (cit. E. Imbriani, Persone intere. Su alcuni materiali dell’archivio di Ernesto De Martino, Coordinamento Siba, Editoria scientifica elettronica, Università del Salento, Lecce 2013).

Per Ernesto de Martino, il mondo della vita, il “vitale”, l’esistenza umana, la presenza e la natura, stanno prima della storia e della cultura.

Ma Ernesto de Martino, con i migliori maestri dello storicismo napoletano, come l’Adolfo Omodeo, interpretò la natura umana come “interna” alla storia, dando senso e significato alla sua stessa impostazione di ricerca sul campo delle classi subalterne.

Che cos’è lo storicismo? E’ una visione della vita e del mondo fondata sulla persuasione critica che la realtà si risolve, senza residuo, nella storia, e che la realtà storica umana, nelle sue individuali manifestazioni, è integrale opera dell’uomo ed è conoscibile senza residuo dal pensiero umano.

E. de Martino, in Coscienza religiosa e coscienza storica, 'Nuovi argomenti', 14 (mag.-giu.1955), p.89. 

Il mondo primitivo è per elezione quello dell’esposizione al rischio, perchè più vicino al polo della naturalità, o ancora non abbastanza emancipato da essa. Il primitivo, che in “Naturalismo e storicismo” e nel “Mondo magico” viene osservato da un punto di vista più che altro teorico, negli anni successivi acquisisce per de Martino la fisionomia, molto concreta, di una singolare parte della società italiana, ovvero il mondo contadino del Sud Italia.

Giuseppe Maccauro, Novecento primitivo. Ernesto De Martino fra apocalisse e riscatto, Orthotes, 2023, pag.85.

- Bisogna rendere centrale il nesso tra presenza/crisi/riscatto e il processo di destorificazione del negativo ad opera dell’ethos del trascendimento; l'immaginazione simbolica collettiva è la realizzazione di un'ethos del trascendimento che, come un mito di fondazione per il senso di appartenenza o la sacralizzazione dell'”oggetto” per scopi espiatori, rende possibile il superamento di una crisi, della “presenza” in quanto soggetto che opera nella natura, che rischia di perdersi in essa senza riscatto (escatòn). Il soggetto dunque si ricolloca nella storia tramite la cultura, e la crisi si rivela esistenziale nel rapporto tra sé e il mondo “altro da sé”. Ma la crisi affonda sempre nelle materiali condizioni di vita e nelle modalità concrete di una prassi che deve tendere e tende incessantemente alla trasformazione rivoluzionaria (che è escatologica nelle religioni) come base insopprimibile della costituzione di sé come soggetto:

Vi è dunque un principio trascendentale che rende intellegibile l’utilizzazione e le altre valorizzazioni, e questo principio è l’ethos trascendentale del trascendimento della vita nel valore: attività dunque, ma ethos, dover-essere-nel-mondo per il valore, per la valorizzante attività che fa mondo il mondo, e lo fonda e lo sostiene.,

Ernesto de Martino, “Antropologia e marxismo”, in La fine del mondo - Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Einaudi, 2019, p. 483

[Ferdinando Dubla, scritto per Wikipedia, link permanente https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Ernesto_de_Martino&oldid=142516562 ]

[cfr. Pompeo Giannantoni, Gramsci, de Martino e l’analisi delle classi subalterne meridionali, in “Rocco Scotellaro”,

http://ferdinandodubla.blogspot.com/2017/03/gramsci-de-martino-e-lanalisi-delle.html ]

 

a cura di Ferdinando Dubla, Subaltern studies Italia

 

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