Gli ideali dell'anarchismo di Errico Malatesta e il comunismo libertario della 'next revolution'
«Io sono abolizionista
e ritengo che una società che immagini di poter fare a meno del carcere sia una
società dotata di grande maturità. Non dobbiamo dare per scontato che serva una
struttura di quel tipo. Occorre ridurre al minimo l’uso del carcere e
potenziare le misure alternative per dare la possibilità di inserirsi in un
contesto territoriale, sociale, di comunità reintroducendo le persone a una
vita reale».
Ilaria
Salis
Quello che afferma la
compagna Salis, attivista libertaria dell’antifascismo militante, è il coraggio
dei nostri ideali socialisti: l’utopia che diventa concreta attraverso l’azione
politica. Ciò che sembra impossibile, diventa un traguardo raggiungibile
attraverso una prassi rivoluzionaria. Le rivoluzioni, infatti, le hanno
realizzate nella storia minoranze organizzate contro il senso comune veicolato
dalle classi dominanti, come argomentava Gramsci, purchè avanguardie vere in
senso leninista, cioè che sappiano coniugare le insorgenze con
l’organizzazione, l’oggettività delle condizioni materiali con la soggettività
politica della trasformazione rivoluzionaria.
“Siete dei sognatori”:
no, siamo realisti, si rispose nel ‘68, vogliamo l’impossibile, dobbiamo
cercarlo l’impossibile per renderlo possibile. Il giustizialismo e il
forcaiolismo non sono mai stati ideali del socialismo, ma suoi avversari. /
fe.d.
GIACOBINISMO,
ANARCHISMO E LENINISMO e la ‘sinistra alla vaccinara’
Il settimanale
anarchico Umanità Nova, fondato da
Errico Malatesta e la rivista Jacobin
Italia
sono una sorsata d’aria
pura nel panorama che ci circonda dei media liberal liberisti-giustizialisti
con la coda alla vaccinara di certa ‘sinistra’ manettona e ormai priva di
qualunque ideale anche a medio respiro oppure i soloni della geopolitica ‘strategica’.
Personalmente ricordano la necessità storica del superamento della diatriba
anarchismo-comunismo in nome dell’autodeterminazione popolare e dei subalterni,
del giacobinismo nella dialettica spontaneità/organizzazione,
insorgenza/rivoluzione nell’esperienza concreta del leninismo [se fosse
possibile, conieremmo l’espressione più precisa di leninianismo (cioè “la
lettera di Lenin”) ma purtroppo ortosintatticamente è orribile].
Un autore che si
inserisce nel solco degli studi subalterni in Italia è Errico Malatesta da
Santa Maria Capua Vetere. L’anarchico italiano, infatti, è autore di ‘dialoghi’
fondamentali per l’analisi subalternista e non solo per l’Italia, ma per
statura internazionale-internazionalista,
in particolare “Al caffe` - Discutendo
di rivoluzione e anarchia“, e “Fra contadini”, entrambi editi da Fiaccola
editrice nel 1972, ma oggi leggibili in edizione digitale in pdf (cfr. http://isole.ecn.org/ponte/mediateca/caff.pdf).
#subalternstudiesitalia
ha già dedicato ad Errico Malatesta scritti e analisi.
vedi:
ERRICO
MALATESTA: ISTRUZIONE E CULTURA ARMA DI CIVILTÀ PER GLI OPPRESSI
I
DIALOGHI DI ERRICO MALATESTA SULLA PROSSIMA RIVOLUZIONE
Secretior
philosophia. E oggi, Vanini può parlare?
LA
COMMUNE è THE 'NEXT REVOLUTION'
Errico Gaetano Maria
Pasquale Malatesta (Santa Maria Capua Vetere, 4_dicembre) 1853– Roma, 22 luglio
1932) è stato un anarchico e scrittore italiano, tra i principali teorici del movimento
anarchico.
AMBROGIO. “Leggi severe
ci vogliono e severamente applicate. Ma non basta. Colla forza soltanto non si
tiene a lungo il popolo soggetto, massime coi tempi che corrono. Bisogna
opporre propaganda, bisogna persuadere la gente che noi abbiamo ragione. (..)
PROSPERO. “Che, che! Bisogna evitarla ad ogni costo la propaganda, soffocare
la stampa, con o senza o magari contro la legge... AMBROGIO. -- Questo sı`,
questo sı`.
PROSPERO. -- Impedire
ogni riunione, sciogliere tutte le associazioni, mandare in carcere tutti
quelli che pensano...”
- Ambrogio è un
magistrato. Prospero un “grasso borghese in tinto di economia politica ed altre
scienze”. Personaggi di ‘Al caffe` - Discutendo
di rivoluzione e anarchia.’, dialoghi scritti dall’anarchico italiano Errico
Malatesta, oggi leggibili anche in formato digitale per Ortica editrice, 2014,
da cui cit.
Errico Malatesta in due
fasi della sua vita: a sx è arrestato il 5 aprile 1877 come uno dei capi della
banda del Matese, insieme a Carlo Cafiero. A dx direttore a Milano del
settimanale Umanità Nova nel 1920.
Nello stesso anno fu
arrestato e recluso nel carcere di San Vittore. Iniziò, insieme ai dirigenti
libertari Armando Borghi e Corrado Quaglino, uno sciopero della fame che ne
minò le condizioni fisiche, riducendolo quasi in fin di vita; lo sciopero venne
sospeso dopo la strage del Diana (che Malatesta condannò) avvenuta il 23 marzo
1921 nel teatro Kursaal Diana di Milano, con 21 morti e 80 feriti. Liberato, fu
fortemente impressionato dalle conseguenze umane e politiche della strage e
pubblicò un articolo su Umanità Nova
nel quale stigmatizzava gli atti di violenza indiscriminati:
Qualunque
sia la barbarie degli altri, spetta a noi anarchici, a noi tutti uomini di
progresso, il mantenere la lotta nei limiti dell'umanità, vale a dire non fare
mai, in materia di violenza, più di quello che è strettamente necessario per
difendere la nostra libertà e per assicurare la vittoria della causa nostra,
che è la causa del bene di tutti,
da Umanità Nova, 8 settembre 1921.
I dialoghi di Malatesta sono intenzionalmente pedagogici e mirano a combattere la doppia subalternità, quella della posizione di classe, le materiali condizioni di vita e quella del passivo senso comune veicolato dalle classi dominanti parassitarie che coniano stereotipi e credenze e le trasformano in leggi di natura ‘immutabili’. Per cui, per questa via, sarebbe preclusa proprio dalla subalternità la strada alla rivolta.
“I signori che ci hanno
levato tutto, dopo che ci han costretti a lavorare come bestie per guadagnare
un tozzo di pane, mentre essi coi sudori nostri vivono senza far niente di
buono, nelle ricchezze e nella crapula, dicono poi che noi, per essere uomini
onesti, dobbiamo sopportare volentieri la nostra posizione e vederli ingrassare
alle nostre spalle senza nemmeno fiatare. Se invece ci ricordiamo che siamo
uomini anche noi, e che chi lavora ha diritto di mangiare, allora siamo
farabutti; i carabinieri ci portano in carcere, e i preti per giunta ci mandano
all’inferno.”
“hanno ridotto il
popolo allo stato di un gregge di montoni che si lascia tranquillamente tosare
e scannare. E voi vi mettete, coi signori per darci addosso?! Non basta che
essi abbiano dalla loro il governo, il quale, essendo fatto dai signori e pei
signori, non può non appoggiarli; bisogna dunque che i nostri stessi fratelli,
i lavoratori, i poveri, si scaglino contro di noi perché vogliamo ch’essi
abbiano pane e libertà”.
Errico Malatesta, Fra contadini. Dialogo sull’anarchia. La
fiaccola ed. 1972, cit. da ed. digit. Ortica, 2021, pag.4
“Che direste voi se i
signori si volessero impadronire dell’aria per servirsene essi, e darne a noi
soltanto un pochino e della più puzzolente, facendocela pagare con stenti e
sudori? E la sola differenza tra la terra e l’aria è che per la terra hanno
trovato il modo d’impossessarsene e dividersela tra di loro, e per l’aria no;
che se ne trovassero il mezzo, farebbero dell’aria quello che hanno fatto colla
terra.”
“La storia c’insegna
che le condizioni del lavoratore sono state sempre miserabili e che, tale e
quale come ora, chi ha lavorato senza sfruttare gli altri, non solo non ha mai
potuto fare economie, ma non ne ha avuto nemmeno abbastanza per cavarsi la fame.
Guardate gli esempi che avete sotto gli occhi: tutto quello che di mano in mano
i lavoratori producono non va forse nelle mani dei padroni che stanno a
guardare? Oggi uno compra per pochi soldi un pezzo di terra incolto e paludoso;
vi mette degli uomini a cui dà appena tanto da non morir di fame d’un tratto, e
resta ad oziare in città. Dopo alcuni anni, quel pezzo inutile di terra è
diventato un giardino e costa cento volte quello che costava in origine. I
figli del padrone, che erediteranno questo tesoro, diranno che essi godono per
i sudori del loro padre, ed i figli di quelli che hanno realmente lavorato e
sofferto, continueranno a lavorare e a soffrire.”
“Se i poveri
s’intendono, sono essi i più forti.” “che danno si risentirebbe se sparissero i
signori? Sarebbe come se sparissero le cavallette.”, ivi, pag. 12
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