Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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lunedì 14 ottobre 2024

Can Spivak speak?

 


CAN THE SUBALTERN SPEAK?



Gayatri Chakravorty Spivak, migrante metropolitana femminista, come ella stessa si definisce nella Critica della ragione postcoloniale “è un’intellettuale organica al pianeta” , commista di partiture teoretiche tra cui Kant, Hegel, il marxismo, la decostruzione, la grammatologia di Derrida, la psicoanalisi freudiana e il femminismo. Per comprendere il mondo, non si può che partire dal punto in cui ci si trova, dalla confusione e dall’ossessione che ci assale, smascherando, così, quella che, con un uso molto libero della terminologia di Lacan, chiama la “forclusione dell’informante nativo”, quel paradosso di parlare dell’altro, al solo fine di rafforzare il proprio io, soggetto dominante. Il termine “subalterno” è attinto dai Quaderni di Antonio Gramsci, secondo cui le classi subalterne possono avere coscienza di se stesse superando la loro disgregazione e articolando la loro azione politica nel progetto di un’egemonia costruita dalle élite politiche e culturali. Un gruppo di storici indiani nato nei primi anni 80 sotto la guida di Ranajit Guha e di cui la stessa Spivak è tra i maggiori, riadattano il termine gramsciano, decontestualizzando e trasformandolo in una ricerca storica alternativa: HISTORY FROM BELOW.

- Tuttavia, Spivak si distanzia dall’uso della categoria che ne fa Guha applicato al contadino indiano poiché l’identità del soggetto subalterno viene definita sempre come una somma di sottrazioni, delineando la storia di un fallimento. Da una parte, infatti la conclusione formale del dominio coloniale, presa in se stessa, significa ben poco dal punto di vista del perdurante governo della conoscenza coloniale, mentre dall’altra, le condizioni materiali e simboliche della subalternità, si sono riprodotte nel presente postcoloniale. E Can the Subaltern Speak? diventa il manifesto di una rottura, di una denuncia, di una rivendicazione. La sua domanda sul “parlare” dei subalterni rompe l’impostazione del Gruppo: Spivak reclama una capacità di agire, un’egemonia non convenzionale, non tanto sinonimo di potere, ma di un progetto che possa e sappia andare oltre il simbolico prestabilito. Denuncia la prospettiva di Guha e degli intellettuali occidentali, che raccontano la donna partendo sempre da storie di Altri. Al Collettivo imputa un positivismo fossilizzato sugli archivi, agli intellettuali occidentali la benevolenza redentrice. Difatti Spivak mostra come l’interessamento degli intellettuali occidentali nei confronti del soggetto coloniale finisca sempre per essere benevolente. Il loro atteggiamento mentale e il loro punto di vista, alla fine coincide con la narrazione imperialista perché quel che promette al nativo è la redenzione.

 

DAL SUBALTERNISMO AL DECOSTRUZIONISMO, DAI SUBALTERN STUDIES ALLA CRITICA POSTCOLONIALE: LA PARABOLA DELLA GAYATRI C. SPIVAK

La “rottura” della Spivak è nel passaggio dal “soggetto che irrompe nella storia” al “soggetto che decostruisce”. È il suo passaggio da Guha a Derrida. Un nodo teorico importante per gli studi subalterni. / fe.d.

- La prosa di Spivak non è solo una decostruzione che sfida, svela ed infrange i limiti del linguaggio. Sin dal primo  saggio che, nel 1988, dedica al tema della decostruzione, “Subaltern Studies: decostruire la storiografia“ [1988- Subaltern Studies: Decostructing Historiography, Routledge], * individua nel riconoscimento del “fallimento” di Guha, nell’ “alienazione” irriducibile del soggetto, il necessario punto di partenza. È da qui che deve (ri)iniziare il discorso dei Subaltern Studies, da una pratica di decostruzione che sia in grado di mettere in discussione l’autorità del soggetto della ricerca senza paralizzarlo, trasformando continuamente le condizioni di impossibilità in possibilità”. Una necessità rivendicata con forza maggiore nel breve saggio “La messa all’opera della decostruzione“ inserito come Appendice alla “Critica della ragione postcoloniale“ [1999 - A Critique of Postcolonial Reason. Toward a History of the Vanishing Present, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts]. *1

Qui Spivak “interpreta la decostruzione specificatamente nel lavoro di Derrida” dando indicazioni sulla sua applicazione nel contesto della critica postcoloniale. Seguendo le tappe del suo pensiero, Spivak nota un punto di svolta: “Si trattava di una svolta rispetto al “tenere di guardia la domanda” – l’insistere sulla priorità di un interrogativo a cui non si può rispondere, la questione della différance – verso una ‘chiamata al completamente altro’ – ciò che deve essere differito – deferito affinché possiamo, per così dire, postulare noi stessi”.  Spivak traduce ciò nell’ “applicazione” diretta ai testi prodotti dalla cultura, in cui si fa esperienza dell’impossibile, che non può essere concettualizzato, perché “l’incontro con il completamente altro, ha un’imprevedibile relazione con le nostre regole etiche” . La singolarità è un’esperienza che non può essere generalizzata, pena la caduta in forme di dominio che deformano, obliterandole, le differenze esistenti. La “messa all’opera” della decostruzione, suggerisce Spivak, “potrebbe essere di un certo interesse per molti osistemi culturali marginalizzati”. Ma perché ciò avvenga, il soggetto che decostruisce, deve dichiarare sia il proprio interesse per l’ “opera”, il proprio punto di partenza, sia la complicità tra chi opera la decostruzione e il testo oggetto d’analisi: “Le decostruzioni – scrive Spivak – nella misura in cui sia possibile intraprenderle, sono sempre asimmetriche per via dell’‘interesse’ di chi le opera”. Unica possibilità per evitare nuove forme di colonialismo culturale attraverso l’ingannevole, per quanto rassicurante, perpetuarsi del principio di identità che non riconosce ciò che è diverso.

* in it. nel volume curato da Sandro Mezzadra “Subaltern Studies. Modernità e (post)colonialismo”, Ombre Corte, 2002

*1. in it. “Critica della ragione postcoloniale”, Meltemi, 2004




LA RAPPRESENTAZIONE

Quella di Spivak è una decostruzione doppia e in contro luce: la decostruzione dell’opposizione tra il collettivo e il subalterno, e la decostruzione dell’“apparente continuità esistente tra gli studiosi in questione e i loro modelli anti-umanistici” . Poiché, scrive, una lettura contro luce deve sempre essere strategica, essa non deve mai avere la pretesa di stabilire la verità autoritativa di un testo, deve sempre restare dipendente dalle esigenze pratiche e non deve essere mai legittimata a formulare un’ortodossia teoretica. Nel caso del gruppo dei Subaltern Studies, ciò dovrebbe sottrarlo alla pericolosa pretesa di stabilire la vera conoscenza del subalterno e della sua coscienza. Quella del Collettivo sembrerebbe un progetto positivista in quanto alla ricerca di un qualcosa da cui poi partire per costruire una struttura di sapere/potere. Ma qui, avverte Spivak, è al lavoro una forza che potrebbe “contraddire tale metafisica” , in quanto l’accesso alla coscienza subalterna è possibile solo indirettamente, per mezzo del metodo “indiziale” di Guha, attraverso gli archivi della “contro-insurrezione”. Indizi, che probabilmente non consentiranno mai di recuperare la coscienza dei Subalterni. Qui è in gioco quello che Spivak, con terminologia post-strutturalista, definisce effetto-soggetto subalterno. Un effetto – soggetto = ciò che sembra agire come un soggetto può essere parte di un’immensa rete discontinua di fili a cui si possono attribuire i nomi di politica, ideologia, economia, storia, sessualità, linguaggio e così via. I diversi intrecci e le diverse configurazioni di questi fili, determinati da fattori eterogenei che sono essi stessi dipendenti da una miriade di circostanze, danno vita al soggetto agente. Il recupero, quindi, di una posizione positiva del soggetto in Spivak diviene “strategia adeguata ai nostri tempi”, capace di influenzare e di modellare la storiografia ufficiale, mantenendo comunque la costante consapevolezza del rischio di un’oggettivazione del subalterno, che finirebbe per rinchiuderlo nel “gioco del sapere come potere” o di soffocarlo nella catacresi di figure e segni destinati a mancare sempre il referente che evocano. Il problema, dunque, è la rappresentazione, anzi, le rappresentazioni, dell’Altro/a.

- Spivak accusa il pensiero occidentale di riprodurre, nel momento stesso in cui si autocritica, quella forclusione dell’Altro (o dell’informante nativo) operata dall’episteme imperialista.

APPUNTI SCOLASTICI SULLA SPIVAK

https://www.studocu.com/it/document/universita-di-bologna/analisi-dei-processi-decisionali-e-sistema-politico/approfondimento-spivak/39517035?origin=home-recent-3

Corso: Analisi dei processi decisionali e sistema politico

Università di Bologna

 

Femminismo e subalternismo, comunismo e decostruzionismo, Gramsci e Derrida, altermondialismo/terzo_quartomondismo, critica alla ‘violenza epistemica’ dell’imperialismo culturale occidentalista, la rivoluzione disciplinare delle scienze umane. Breve biblio della Gayatri C.Spivak.



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