NON SOLO ANNIVERSARIO
non retorica, ma lavoro storico-politico/
per coloro i quali dal '68 'continuons le combat'
ripubblichiamo la prima parte del cap. 3 del libro di Ferdinando Dubla:
“Secchia, il PCI e il ‘68”, Edit. Datanews nel 1998 in occasione del 30* anniversario
le note seguono le pagine e si rinominano da 1 e vanno lette dal basso verso l'alto.
3. Il ‘possente’ movimento rivoluzionario
Tra queste date-simbolo, che abbiamo citato solo per
una traccia schematica di tappe
significative che costituiscono comunque il fulcro di un determinato periodo
storico che, iniziato a metà degli anni '60 continua fino ai primi anni '70 e
ha un'incidenza profonda anche per la genesi e lo sviluppo del cosiddetto
'movimento del '77', la sua tipologia insieme creativa e
tragica (la stagione del terrorismo, gli 'anni di piombo'), si intrecciarono
ovviamente eventi tumultosi e carichi di significato simbolico a livello internazionale,
basti pensare all'esperienza della rivoluzione culturale cinese nel biennio '66/'67, preceduta dalla
campagna dei 'centofiori', alla morte del Che Guevara in Bolivia
nell'ottobre 1967, alla guerra del Vietnam (offensiva del Tet,
30 gennaio 1968), la 'primavera di Praga' che iniziò proprio
nei primi mesi del '68 con il CC del PC Cecoslovacco e le dimissioni del
segretario generale del Partito Novotny a favore di Alexander
Dubcek e poi l'ingresso delle truppe del Patto di
Varsavia nella notte dal 20 al 21 agosto, l'assassinio di Martin Luther King il 4 aprile del '68,
il 'maggio francese' e le leadership di Rudy Dutschke e Cohn-Bendit,
l'assassinio di Robert Kennedy (fratello dell'ex
Presidente John F.Kennedy assassinato nel 1963) il 5 giugno, l'inizio
della guerriglia dei Tupamaros in Uruguay in agosto,
il massacro di decine e decine di studenti da parte della polizia messicana in
ottobre, l'eccidio di Avola il 2 dicembre, rimanendo in un ambito quasi
esclusivamente politico (le influenze culturali dirette/indirette furono
altrettanto numerose e significative) in "una
miscela straordinariamente possente", per usare un' espressione di
Paul Ginsborg (o l'imagination
au pouvoir, come recitava il titolo dell'intervista a J.P.Sartre e Cohn-Bendit sull'edizione
speciale del Nouvel Observateur del
20 maggio 1968).
Se dunque
la scintilla e la originale connotazione prevalentemente studentesca del
movimento è da ritrovarsi "nel
meccanismo dell'apprendimento, denunciato come passiva ricezione e
condizionamento, che non lascia allo studente alcuna funzione di dialettica con l'istituto, gli
ordinamenti, il docente, il tipo di nozioni che gli vengono imposte", la sua genesi profonda è nel cuore dei
sistemi capitalistici dell'occidente. In Italia, poi, il contesto politico e
sociale giocava un ruolo specifico anche in riferimento all’uso dei movimenti
dell’estrema destra, della ‘destra radicale’, da parte di apparati dello Stato
e da parte di una borghesia impaurita dalle conseguenze dell’accentuata
conflittualità sociale: “Qui la protesta
iniziò prima che negli altri Paesi (la prima occupazione universitaria ebbe
luogo nell’autunno del 1967, alla Cattolica di Milano), durò più a lungo
(praticamente fino alla fine degli anni settanta) e abbracciò un fronte molto
più vasto. (..) Se l’avvento relativamente inoffensivo del centro-sinistra aveva suscitato, nel ‘cartello dell’ansietà’,
l’allarme (..), sarà facile comprendere che gli sviluppi molto più radicali del
1968 innalzarono tale allarme a livelli di vero panico.”
In Italia il Sessantotto rappresentò una rivoluzione
culturale senza concreto sbocco
politico, e gli elementi generali e quelli nazionali specifici si fusero in una
miscela potenzialmente deflagrante, che scosse le fondamenta dell’edificio
reazionario delle classi dominanti e segnò una generazione intera più che in altri paesi:
“Al di sotto
dello scontro politico e ideologico vi era la grande massa dei giovani che
viveva il ’68 in primo luogo come rivoluzione culturale personale. La prima conquista fu il concetto
di democrazia di massa e del rifiuto della delega, che si accompagnò a una
rivoluzione nel costume di vita contro la morale, i sistemi di vita borghesi e
l’individualismo, per conquistare una nuova dimensione della vita collettiva.
Una seconda acquisizione – questa più immediatamente politica – fu costituita
dalla comprensione di che cosa rappresentasse il sistema di potere
democristiano: la sua chiusura a ogni concessione e la sua incapacità di
rispondere alle esigenze delle masse e alle richieste di democrazia. La rottura
con la società borghese sviluppò invece l’interesse nei confronti
dell’esperienza dei popoli rivoluzionari, e in particolare della Rivoluzione
culturale cinese. (..)Per le masse studentesche, quindi, il socialismo,
l’alleanza con la classe operaia, l’assunzione del marxismo-leninismo-pensiero
di Mao non costituivano una prospettiva culturale, ma
un obiettivo rispondente ai loro bisogni materiali.”
- Una vera e propria temperie che non poteva non travolgere proprio i soggetti politici, come i partiti comunisti più forti nell' occidente capitalistico, l'italiano e il francese, che si dibattevano, in forme differenti l'uno dall'altro, in una contraddizione che veniva sottolineata da sponde diverse sia dal 'movimento' che dagli avversari politici, dalle forze reazionarie; la contraddizione era tra la perorazione di principi astrattamente rivoluzionari e la prassi palesemente riformista, accusati dagli uni come 'revisionisti' e dagli altri considerati inaffidabili per gestire le sorti della borghesia nazionale: contenitori, dalla grande storia e tradizione, di teorizzazioni marxiste-leniniste e pratiche della socialdemocrazia, insieme 'radical' e liberal'. Proprio per questo, il PCI soprattutto, venne comunque considerato un punto fondamentale della tattica e della strategia dei movimenti, bersaglio di una critica serrata, finanche rabbiosa, ma comunque forza della sinistra di cui non si poteva ignorare la capacità di mobilitazione di massa e di 'controllo' del conflitto di classe. La tradizione comunista, d'altra parte, era ripresa in tutte le sue versioni, quella che molti conglobano come 'critica' e quella che viene da alcuni definita 'ortodossa': entrambe erano presenti come culture all'interno del PCI.
Nel 1968/69, Secchia non era più da tempo il PCI, sebbene egli individualmente e
politicamente, anche per le cariche istituzionali che continuava a rivestire
(fu vice-presidente del Senato dal 1963 al 1972) si sentisse legato ad esso
come corpo organico e inscindibile. Proprio nei 'diari' riferiti a quegli anni,
annotò: "Il partito mi ha dato di più? Certo, mi
ha dato molto, ma molto ho dato anche io. Cosa sarei io senza il partito?
Nulla! Ma nella vita? Se le energie, tutta la gioventù e l'intera vita dedicata
al partito l'avessi dedicate con lo stesso impegno ad altra attività, cosa
sarei?" e in polemica, sebbene affettuosissima, con un dirigente ormai
del passato che stimava grandemente, Eduardo D'Onofrio, criticava la '"concezione
religiosa del partito". A rimarcare, siamo nel febbraio 1967,
che la sua sconfitta politica all'interno del PCI, ha coinciso con una
divaricazione rispetto agli ideali e ai principi con cui si erano combattute le
fasi precedenti al 1954, e sempre più progressivamente: una deriva moderata,
'revisionista' appunto, che non era stato affatto invertita dalla segreteria di
Longo dopo la morte di Togliatti (1964), nonostante le
grandi speranze che in lui aveva suscitato l'elezione del suo compagno più
vicino negli anni della Resistenza. Il partito è allora sì tutto, per la sua personale connotazione politico-biografica, ma
non si doveva rimanere ciechi dinanzi alla contraddizione palese ed evidente
proprio in quegli anni e che caratterizzò la stagione comunista di fronte ai
movimenti del '68/'69: quella tra riferimento
teorico e azione politica. E'
evidente che proprio per queste riflessioni, Secchia si ritrovasse in
pieno con lo slancio generoso delle giovani generazioni studentesche e in un
rapporto nient'affatto paternalistico o strumentale; inevitabile divenne un
rapporto di reciproca 'attenzione affettuosa' tra lui, vecchio dirigente comunista escluso dal
gruppo dirigente per la tenacia con cui contrastava la variante moderata e
tatticista del togliattismo e il movimento che cercava un legame, critico sin
che si vuole, ed un' identità importante con la storia del marxismo militante
in Italia. Per questo, quando egli scriverà del 'movimento' non userà toni di
'affettazione' o tartufeschi: sarà ricambiato con una stima pressochè
generalizzata (a parte alcune punte talmente esasperate che ai giorni nostri
hanno esasperato la loro stessa immagine di allora all'incontrario, Lucio
Colletti o A. Brandirali, ad es.). Conviene dunque seguire
Secchia, oltre che per la sua autonoma
produzione storica e di divulgazione della memoria politica di avvenimenti di
cui era stato protagonista e testimone, produzione che ebbe, tramite
Feltrinelli, di cui era amico fraterno e compagno, un'influenza
notevole sulla formazione dei militanti dell'arcipelago di organizzazioni del
'movimento', specie di quelle marxiste-leniniste, anche per le sue uniche e
dirette impressioni sul movimento studentesco annotate nei 'Diari' nel 1968:
"
Sugli studenti
e loro lotta avanzata in tutti i paesi è mia opinione che si tratti del più
possente movimento rivoluzionario di questi anni. Lotta di generazioni e lotta
di classe. Il movimento studentesco ha assunto una dimensione politica che va
al di là delle rivendicazioni universitarie. E' un movimento di classe e di
generazioni così impetuoso quale non si aveva da cinquant'anni. Non tutte le
loro posizioni sono chiare e accettabili, non tutti gli obiettivi sono precisi.
Non c'è ancora un'organizzazione, una guida che li raggruppi, li coaguli, come
nel 1920. Ma il dato positivo che esce fuori è che tutto il movimento è
orientato a sinistra per la pace, per la lotta, per il potere e per il
socialismo (allora nel 1919 la gioventù in parte andò col fascismo). (..) L'influenza che esercitò
allora la rivoluzione russa l'hanno esercitata in questi anni le rivoluzioni
dei popoli per la loro indipendenza. Le guerre di liberazione Cina, Cuba,
Vietnam (..)"
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