Subaltern studies Italia

L’analisi e la classe - a cura di Ferdinando Dubla

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venerdì 23 novembre 2018

Per una storia del marxismo-leninismo italiano (2)

La nebulosa marxista-leninista.(2)
Movimentata storia delle organizzazioni filocinesi
di Pierluigi Onorati- - dal fascicolo 1968 suppl. a Il Manifesto - - ottobre 2018

Il partito comunista d’Italia

Più rilevante la vicenda del Partito comunista d’Italia, fondato nel ’66 dal gruppo di Nuova unità (Geymonat, Dinucci, Misefari, Dini, Pesce). Nello stesso teatro di Livorno in cui era nato nel ’21 il PCI, il nuovo partito si candida alla guida del proletariato italiano,senza lesinare in materia di trionfalismo. Segretario è nominato Fosco Dinucci. Nel ’67 il partito vede aumentare notevolmente il numero dei militanti e si aggiudica la leadership del marxismo-leninismo italiano. Il gruppo riunito intorno alla rivista Lavoro politico aderisce al PCd’I alla fine dell’anno e porta in dote un patrimonio di riflessione teorica ben più approfondita di quella sbandierata settimanalmente da Nuova unità. Per il PCd’I, il ’68 potrebbe essere l’occasione di spiccare il volo. Il movimento studentesco, con la sua robustissima componente filocinese e terzomondista, rappresenta quasi per forza di cose una riserva se non di militanti quanto meno di simpatizzanti. In agosto Pesce e Dini sono ricevuti a Pechino dai massimi dirigenti del Partito comunista cinese e possono così vantare una sorta di investitura ufficiale. A ottobre entra nel partito una parte del gruppo milanese Falcemartello, già trotziksta,convertitosi all’emmellismo nel corso della rivoluzione culturale cinese. 
La fase ascendente del PCd’I si esaurisce però rapidamente. A dicembre, nel corso di una grottesca riunione notturna convocata all’improvviso, Dini e Misefari accusa Dinucci e Pesce dei più efferati delitti contro il proletariato e spaccano il partito. La definizione “linea nera”, pittorescamente adoperata dagli scissionisti per designare gli avversari, resterà attaccata al PCd’I di Dinucci (in contrasto ovviamente con il PCd’I “linea rossa”). La linea nera mantiene però l’appoggio di Pechino e Tirana e conquista in tribunale il diritto di usare la testata Nuova unità. Per entrambe le linee la divisione è fatale, e nel ’69-70 un’inarrestabile emorragia di scissioni e frazionamenti le cancella dal panorama della sinistra extraparlamentare. 

L’Unione dei comunisti

L’ultimo nato tra i gruppi m-l è anche l’unico a poter disporre,almeno in un primo periodo, di un seguito di massa. L’Uci, Unione dei comunisti italiani marxisti-leninisti, raccoglie al posto del PCd’I i frutti delle tendenze maoiste presenti nel movimento studentesco. Fondata nell’ottobre ’68, l’Unione accusa il PCd’I di dogmatismo, di “agitare i principi come cristalli senza vita”, di mancanza di “senso materialistico e dialettico”. L’Uci respinge ogni ipotesi federativa anche con altri gruppi m-l e costruisce rapidamente un apparato organizzativo meticoloso e rigidissimo. Anche nei confronti del movimento studentesco, l’Unione sceglie un isolamento completo e settario. 
Il decollo dell’Uci è immediato. Tra la fine del ’68 e l’inizio del ’69 può contare su un notevole numero di militanti e in molte città condiziona pesantemente le scelte del movimento. Un’ascesa bruciante a cui segue altrettanto un rapido declino. Nei primi mesi del ’69 la rottura tra il leader Brandirali e il gruppo proveniente dal movimento romano (Luca Meldolesi, Nicoletta Stame) priva l’Uci della sua componente più originale e intelligente. Il gruppo si isola sempre di più e nonostante il trionfalismo e la sempre più accurata organizzazione interna perde vertiginosamente capacità di richiamo. La durissima disciplina di partito allontana in pochi mesi molti militanti, e la scelta di non partecipare alle lotte taglia completamente fuori il gruppo di sollevazione operaia che domina il quadro sociale dalla primavera del ’69 in poi. 
L’esperienza dei gruppi marxisti-leninisti non esaurisce ovviamente l’incidenza del maoismo nella sinistra extraparlamentare italiana. Altri gruppi e altri studiosi cercano di raccogliere la lezione del comunismo cinese nei suoi aspetti meno pittoreschi e più determinanti, tralasciando lo sforzo imitativo in cui si è spesso risolta l’attività degli m-l. 
L’intera nuova sinistra degli anni ’70 è, in diversa misura e a diversi livelli di approfondimento, influenzata dall’esperienza cinese. Con la rilevante eccezione dell’operaismo, l’altro asse di dissenso a sinistra del Pci negli anni ’60.




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